Un viaggio alla montagna sacra è un sogno.
Sarebbe il massimo farlo tra maggio e giugno quando nella regione del Kailash e precisamente a Darchen, dove il fiume Lha Chhu emerge nella pianura, si festeggia il Saga Dawa, durante il 4° mese del calendario tibetano (SAGADEWA) tra il 25/5 e il 22/6. Per il famoso festival accorrono moltissimi pellegrini con i loro paramenti tradizionali. Il Saga Dawa è anche il giorno di apertura "ufficiale" del percorso del kora o della khora ("Khorlam").
E’ anche un giorno di buon auspicio x fare la khora, che fatta in questo periodo particolare ne aumenta di una dozzina di volte il potere aiutando i pellegrini ancora di più ad acquisire meriti per la loro vita futura.
Le date cloù di solito sono il 7° giorno del mese (indi tra fine maggio e inizio giugno secondo il calendario tibetano) in cui i tibetani festeggiano il compleanno del Buddha e il 15° giorno in cui festeggiano la sua illuminazione, il nirvana e la morte. Centinaia di pellegrini locali partecipano inoltre all'innalzamento del grande palo di preghiera presso Tarboche in questi giorni, nei pressi della piattaforma Mahasiddha dove vengono fatte le celebrazioni vere e proprie del Saga Dawa, subito dopo Darchen (villaggio punto di partenza della Khora) e da dove si apre la Valle ovest del Kailash, nota come Valle di Amitabha.
Vi riporto una descrizione dell’antrpologo Charles Allen tratta da: Alla ricerca di Shangri-La - Ed. Newton & Compton 2000 - pag. 85,86,87,88 :
“Nella notte di luna piena del IV mese del calendario tibetano, la Montagna delle Nove Svastiche Sovrapposte brilla come una stalagmite in un cielo senza nubi. Nonostante il campo sia molto affollato, alle nove di sera il silenzio è totale. Si respira un'aria di attesa, di eccitazione contenuta che mi fa ricordare le vigilie di Natale di tanto tempo fa. La luce del giorno colpisce la nostra tenda alle sette in punto, ma sembra che tutti gli altri campeggiatori siano svegli e in piena attività già all'alba. Il fumo di centinaia di fuochi da campo si solleva come piccole piume che confluiscono in banchi di nebbia filacciosi sopra il fiume.
Oggi è Saga Dawa.
Dopo la colazione seguiamo la folla che si dirige verso un anfiteatro naturale a meno di 500 metri dal fiume e più in alto di almeno 300. Ci accoglie una visione straordinaria: due o tremila tibetani sono qui radunati, alcuni in piedi o accovacciati sulle pendici circostanti, ma la maggior parte stanno camminando in circolo intorno a un punto centrale. Sono talmente numerosi che sembrano una gigantesca ruota multicolore in movimento. Nello spazio aperto, all'altezza del mozzo della ruota, sta adagiato un enorme palo di preghiera in legno, fatto con diversi tronchi di pino posti uno sull'altro come il pennone di una nave. È interamente decorato con bandiere di preghiera dai colori brillanti, nuove di zecca; più o meno a metà sono attaccate quattro funi lunghe circa 600 metri, anch'esse completamente ricoperte di bandiere. Il Darchen (il Tarboche) è rivolto rigorosamente verso nord e giace con la base adiacente a un buco al centro di un cumulo di pietre.
Su queste pietre sta diritto il maestro di cerimonie, vestito di un magnifico abito di seta gialla con cintura rossa, che coadiuvato da un gruppo di aiutanti ha il compito coordinare la folla che deve issare il palo, chi tirandolo con delle funi, chi spingendolo con dei pali.
Una dozzina di monaci dai berretti rossi, provenienti dal vicino monastero Kagyu a Gayangdrak, formano una banda di suonatori che soffiano in giganteschi corni alpini e conchiglie, e percuotono cimbali e tamburi. C'è anche un gruppo di monache buddiste che intonano preghiere e canti e si esibiscono in gesti rituali delle mani in perfetto sincronismo. L'aria è impregnata del fumo dell'incenso acceso tutto intorno, mentre coloro che eseguono le circumambulazioni camminano senza sosta in una nuvola di polvere, facendo girare con le mani le ruote di preghiera.
Su segnale del maestro di cerimonia si inizia ad innalzare il palo, c'è il gruppo che tira le funi, coloro che spingono con i pali e chi lo puntella per sostenerlo via via che si alza del terreno. Ad ogni strattone gli spettatori gridano Lha-so-so! Lha-so-so! Mentre gettano in aria foglietti di carta di preghiere. Nonostante che lo si tiri con quattro funi e ci siano almeno cento persone a tirare ogni fune, è necessario ad un certo punto attaccare due funi a due camion.
È fondamentale che il palo entri nel buco del terreno dalla giusta angolazione in modo di essere collocato perfettamente verticale; se dovesse essere inclinato anche di pochissimi gradi ciò comporterebbe disastri e sciagure in Tibet per tutti i dodici mesi successivi.
Quando, con un ultimo strattone, il Tarboche viene messo in posizione perfettamente verticale l'intero anfiteatro esplode in grida di Lha-so-so! e lanci di fogli di preghiere. Guidati dai monaci con i loro rauchi corni, gli spettatori scendono sciamando per unirsi alla circuambulazione e tutto il luogo diventa un impressionante vortice di polvere, colore e eccitazione. Al termine della cerimonia tutti fanno la coda per prostrarsi ai piedi del Darchen. Lanciano in aria manciate di farina di stampa come offerta agli dei e avvolgono le sciarpe cerimoniali intorno al tronco o a una delle quattro funi di sostegno. In molti appoggiano per qualche istante la testa contro il tronco stesso per entrare in contatto con la forza vitale di cui è ora impregnato.”
La leggenda del Tarboche, del palo sacro, invece racconta di un albero altissimo "autogeneratosi" in questo luogo santo in quanto cimitero di lama e monaci e benedetto dal Guru Rimpoche che predisse che il tronco sarebbe servito da asta per le bandiere.
In realtà tale rituale è di evidente matrice pre-buddista Bon secondo cui l'alto palo è l'albero originario, l'asse cosmico, la colonna di collegamento tra terra e cielo che unisce paradiso, terra e mondo sotterraneo. Nello sciamanesimo, diffuso in tutte le aree della terra, l'Universo viene concepito come ripartito su tre piani, Cielo, Terra e Inferi che sono collegati tra loro da un asse centrale.
Questo asse centrale, il Pilastro del Mondo o Asse Cosmico, che è la via che lo sciamano percorre in stato estatico per muoversi attraverso i tre piani, viene rappresentato simbolicamente nelle diverse culture con una Montagna Sacra o con un Albero del Mondo. E questo rito è riproposto appunto durante la cerimonia del Saga Dawa.
Vi posso dare qualche cenno sulla regione dopo aver letto un
sacco di cose in questi anni sul Tibet. Il mito di questa grande montagna,
parte dell’Himalaya tibetano, “l’ombelico del mondo”, da cui nascono grandi
fiumi che portano la vita nei territori che attraversano, è diffuso in tutta
l’Asia e trae origine dall’epica hindu dove si parla del monte Meru, la dimora
degli dei, come di un’immensa colonna alta 84.000 leghe; “la sua vetta bacia il
cielo e le sue pareti sono d’oro, cristallo, rubino e lapislazzuli”.
Questi racconti hindu situano il monte Meru in un punto
imprecisato dell’altissima catena dell’Himalaya, ma col tempo il Meru è stato
identificato con il monte Kailash (6714 m ).
Il collegamento della leggenda con la montagna non è
casuale. Dal Kailash leggendario nasce un fiume che sfocia nel fiabesco lago
Manasarovar dal quale, a loro volta, scaturiscono quattro fiumi mitici che
scorrono in direzione dei quattro punti cardinali.In realtà, benché nessun fiume sgorghi proprio dal Manasarovar, esistono quattro fiumi che dal monte scorrono, più o meno verso i punti cardinali ed il Kailash ha in effetti, quattro distinti versanti rispettivamente formati, secondo la leggenda, da oro, cristallo, rubini e lapislazzuli.
Il Kailash sorge al centro di un’area che è la chiave del sistema idrografico dell’altopiano tibetano e dalla montagna scendono in direzioni diverse l'Indo (a nord), il Brahmaputra (Yarlung Tsangpo, a est), il Karnali (un affluente del Gange, a sud) ed il Suttej (a ovest).
Questi fiumi scorrono – secondo la leggenda - fino ai quattro angoli del mondo e lo dividono simmetricamente in quattro parti uguali:
sud: lapislazzuli Mabja Kambad (fiume che sgorga dalla bocca del pavone) Karnali
ovest: rubini Langchan Kambab (fiume che sgorga dalla bocca dell’elefante) Suttej
nord: oro Seng-ge Kambab (fiume che sgorga dalla bocca del
leone) Indo
est: cristallo Tamchog Kambab(fiume che sgorga dalla bocca
del cavallo) Yarlung Tsangpo (Brahmaputra)
Nascosto dietro le montagne che si ergono a sud e ad est
della Sichuan – Tibet Highway, il fiume Yarlung Tsangpo (Brahmaputra) compie
alcune spettacolari inversioni a U e si getta con una serie di stupefacenti
cascate in quella che molti sostengono essere la gola più profonda del mondo.
Delimitata ai due lati dalle moli imponenti del Namche Barwa
(In un punto il fiume si restringe a soli
La regione in cui scorre questo fiume è una delle zone meno esplorate del mondo. Una terra popolata da cobra reali, leopardi, panda rossi, scimmie, tigri, e il cui paesaggio è caratterizzato da cascate e foreste vergini.
Attualmente è vietato l’accesso a questa zona strategica di confine, mentre i cinesi possono già attraversare la regione a piedi da Pe e da Gyatso.
Il monte Kailash, con i suoi
Le sue quattro pareti a strapiombo sono rivolte verso i quattro punti cardinali e sul versante meridionale si apre un famoso lungo crepaccio verticale caratterizzato, nel punto mediano, da una linea orizzontale di strati rocciosi. Questa specie di cicatrice somiglia a una svastica, simbolo buddista di forza spirituale, ed è l’aspetto che ha contribuito non poco alla leggenda del Kailash.
Il nome Kailash significa "cristallo", ma
In tibetano è chiamata Kang Rinpoche, cioè “prezioso
gioiello di neve”.
Il Kailash è da tempo venerato da sei religioni: induismo,
buddismo, giainismo, bon, zoroastrismo e paganesimo slavo.Per gli hindu è il regno di Shiva, il Distruttore e il Trasformatore e per i buddisti è la dimora di Demchok, emanazione irata di Sakyamuni.
I giainisti indiani venerano la montagna come il sito in cui raggiunse la liberazione il primo dei loro santi.
Per l’antica religione bon del Tibet, il Kailash era il
sacro Yungdrung Gutseg (montagna della svastica a nove piani), sul quale scese
dal cielo Shenrab, il fondatore del BonPo.
Non è documentato alcun tentativo riuscito di scalare questa
montagna nella storia contemporanea anche perché attualmente salirvi è anche
proibito dalla legge, perché molti credenti vi vedrebbero una profanazione.Secondo le leggende, la cima di questo Monte è il Paradiso Terrestre, la suprema beatitudine, da cui provengono le anime degli uomini prima della loro nascita, e dove ritornano dopo la morte del corpo, nella loro liberazione finale.
La terra sulla cima della montagna è descritta come fragrante e multicolore.
Proprio sulla cima secondo la leggenda esisterebbe una fontana artificiale a forma di piramide, dai cui quattro angoli si dipartirebbero i quattro fiumi.
Da questo Monte secondo la leggenda si dipartono anche tutti i più diversi universi fisici e spirituali.
La porta d’accesso al monte Kailash è il paesino di Darchen (alt. 4600 m circa), che è anche il punto di partenza della Khora: il circuito di 54 km attorno alla montagna.
Da Darchen val la pena scarpinare fino a Selung Gompa x la migliore vista possibile della vetta (3-5 ore a/r).
I buddhisti e gli hindu camminano intorno al Kailash in
senso orario, mentre gli adepti della religione di bon, l’antica religione
pre-buddhista del Tibet tuttora diffusa nelle aree più remote del paese, fanno
il percorso in senso antiorario.
Un tibetano buddista normalmente compie il percorso in un
solo duro giorno di cammino. I pellegrini hindu, che in più devono compiere
un’immersione rituale in un lago gelato lungo il cammino, in genere portano a
termine il circuito in tre giorni, iniziando a camminare a Darchen a 4600mslm
circa e arrivando all’accampamento allestito nei pressi del monastero di
Dira-puk (4950mslm) in 5 o 6 ore di cammino nel primo giorno. Nel secondo
giorno affrontano il Dolma La coi suoi 5680mslm, scendono al lago Tara per le
abluzioni e arrivano agli accampamenti nei pressi del monastero di Zutul-puk (4900mslm) in 8 ore di cammino. Il
terzo e ultimo giorno sono di ritorno a Darchen percorrendo a piedi gli ultimi
12 km di Khora in circa 3 ore. Molti indiani affittano dei cavalli per non
affrontare il tragitto a piedi mentre invece alcuni tibetani rendono la Khora
molto più difficile continuando a prostrarsi per l’intero tragitto: un circuito
di prostrazioni continue che richiede circa tre settimane.
La miglior guida cartacea è "Tibet Handbook - a pilgrimage guide" di Victor Chan, ed. Moon.
Bisogna ricordare che sarebbe da tenere in considerazione la khora del Manasarovar che non la fa quasi nessuno ma è stupenda: 3-4 gg di cammino nel silenzio con una natura da togliere il fiato (soprattutto x i birdwatchers, ma io ho incontrato una coppia di antilopi). Inoltre è in piano e questo aiuta ulteriormente l'acclimatazione e Tirthapuri (il kora del Kailash non si considera completo senza rendere omaggio alla grotta di Guru Padmasambhava).
Quando riuscirò, pubblicherò anche il mio racconto sulla mia esperienza illuminante al Kailash.
La miglior guida cartacea è "Tibet Handbook - a pilgrimage guide" di Victor Chan, ed. Moon.
Bisogna ricordare che sarebbe da tenere in considerazione la khora del Manasarovar che non la fa quasi nessuno ma è stupenda: 3-4 gg di cammino nel silenzio con una natura da togliere il fiato (soprattutto x i birdwatchers, ma io ho incontrato una coppia di antilopi). Inoltre è in piano e questo aiuta ulteriormente l'acclimatazione e Tirthapuri (il kora del Kailash non si considera completo senza rendere omaggio alla grotta di Guru Padmasambhava).
Quando riuscirò, pubblicherò anche il mio racconto sulla mia esperienza illuminante al Kailash.
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