Un tempo regno indipendente, terra sull'antica rotta commerciale tra Tibet e le pianure del sud del subcontinente indiano, terra di buddhismo della scuola Sakyapa, nascondiglio degli antichi guerrieri Khampa e luogo mistico che è stato frequentato da saggi quali Milarepa, è aperto al turismo solo dal 1992. Con le sue valli verdi tra le aride montagne ocra e rosse è popolato da genti tibetane e la sua storia si fonde con le leggende dell'Himalaya.
Per arrivarci occorre raggiungere Pokhara (6 ore di minibus o 8 di bus pubblico da Kathmandu oppure molto più velocemente in volo sempre da Kathmandu) e da qui in jeep o in volo a Jomsom, il punto di inizio da cui incominciare la visita di questa incantata regione Himalayana che si trova raccolta e protetta dai massicci dell'Annapurna.
Io ho visitato la regione e, karma permettendo, vi racconterò pian piano qui sotto com'è il Regno di Lo.
Venite con me?
PARTENZA
20 aprile 2012, venerdì. Alle 22.20 il mio volo per Delhi decolla puntualissimo da Malpensa. Ho sentito più o meno tutti coloro che dovevo, anche chi, alla fine, non mi aspettavo che avrei sentito, e gli sono grata per essersi fatto vivo.
Parto con una sensazione strana, di incertezza, mista al “cacchio, so che mi dovrò arrangiare in un sacco di cose, so che non potrò dare nulla per scontato”. Io so. Io so sempre, anche se sembra impossibile. Ho tirato matto il Brahma perché so che colui che sarà con me non è “pronto”.
Il nomignolo che mi han dato in Nepal, Boxhi, non mi è stato dato a caso. Sì, sono un po’ una strega, buona però. Ci azzecco sempre.
A Delhi arrivo puntualissima alle 9.30 del mattino e mi piazzo a dormire subito su un comodo divano.
Il volo per Kathmandu parte alle 12.45 puntuale e il cielo è totalmente coperto da nubi, tanto che non si vede una cima manco a pagarla. All’arrivo faccio il visa in meno di un quarto d’ora, mai successo, e recupero il bagaglio in una mezzora. Fuori c’è Amrit seduto che mi aspetta. E’ venuto con il pulmino di Raju. Mi accolgono con una collana di petali di rose del giardino del Planet fatta dai ragazzi. Io li amo tantissimo, per me sono i miei ragazzi anche se qualcuno magari poi mi tira le orecchie se dico così. L’amore è universale. E nella vita non c’è nessuno che ci appartenga, ma molti che amiamo. Io li amo. La temperatura è calda, ma gradevole come sempre. L’aria è fresca. Mentre mangio il mio toast coi pomodori e il formaggio di yak, mi sento a casa. Mero Ghar Nepalma (la mia casa in Nepal). Dal terrazzone vedo il Nyatapola e tutti campi verdi fino al colle di Changu Narayan. Martin mi ha preso la sim nuova della Ncell. Quella vecchia non funziona più. Mi faccio due risate con Amrit e Martin e conosco il nonno di Yam e Amrit. Ha l’età di mio papà ed ha un volto così espressivo. Mi piace un sacco. Ogni sua ruga è una storia che si perde negli anni. E’ bellissimo.

La sera ceno a tagliatelle al ragù e melanzane alla parmigiana. Oramai non devo più chiedere nulla. Sanno già tutto. Prima di andare a nanna incontro Ammar, che mi porta il permit, il TIMS e l’ACAP, i biglietti aerei per/da Jomsom e il piccolo Pasang che verrà con me in Mustang. E’ proprio un ragazzino. La strega aveva ragione.
VERSO POKHARA
La sveglia suona alle 6.00. devo andare a Kathmandu per prendere il Bus GreenLine a Thridevi Marg http://www.greenline.com.np/rates.php L’autobus ci impiegherà 7 ore.
La GreenLine, almeno sta volta, ci ha lasciati al caldo soffocante senza aria condizionata fino a dopo la sosta pranzo, però ha fornito un litro d’acqua in bottiglia per ogni passeggero. Ci siamo fermati a metà mattina per una pipì stop in un posto ombreggiato e poi ci siam fermati per pranzo in un bel ristorante, con le portate a buffet (bevande escluse, a parte il tea e il coffee dai boiler). Dopo, sul bus, hanno acceso l’AC, non forte, quindi un fresco piacevole, fino a Pokhara.
In città c’è un vento fortissimo che alza tutta la terra e la polvere, le montagne non si vedono. Pasang non ricorda il nome dell’hotel, andiamo bene, io per fortuna ce l’ho bene in mente, così lo dico al tassista che ci porta al Lake Star. Vado in stanza e Pasang giustamente va a trovare gli amici suoi e mi dice che ci troviamo dopo cena.
Piove, il cielo è nerissimo e vedo volare alcune lamiere per aria. Quando smette vado a farmi un giretto sul lungo lago. Fa stranamente freddo e delle montagne ancora manco l’ombra. Pokhara senza monti non mi piace proprio. Il suo bello è il panorama e senza è davvero un’anonima cittadina caotica e turistica.
A cena vado da Viva Pasta perché leggo che hanno il pollo grigliato con le verdure lessate e ho bisogno di cibo leggero. Mi faccio due risate con la proprietaria e il cameriere. Sono simpatici e mi faccio una video chiamata su skype. Qui il wifi c’è quasi ovunque.
Quando torno, Pasang non c’è, allora lo chiamo al cellulare e lui arriva. Lui concorda la colazione al sacco con quelli dell’hotel, così dice, e mi prega, di essere pronta per le 6.45 perché dobbiamo essere in aeroporto non oltre le 7.00. A Jomson bisogna volare al mattino presto. Dopo è pericoloso per via dei venti e delle correnti fortissime che si vengono a creare in cielo.
1 GIORNO: JOMSOM - KAGBENI
Il mattino dopo, Pasang arriva dopo le 7.00. Ho dovuto chiamarlo io al telefono, altrimenti chissà a che ora sarebbe arrivato e nessuno ha preparato la colazione. Non amo molto la scarsa puntualità quando viaggio da sola. I camerieri mi mettono della frutta in un sacchetto e prendiamo di corsa un taxi per l’aeroporto.
Le formalità per fortuna sono veloci e partiamo. Il volo su Jomsom dura 20 minuti ed è molto bello. Mi siedo sulla sinistra dove ho il panorama sull’icefall del Dhaulagiri. E’ uno spettacolo. A destra vedo invece quello dell’Annapurna che però al mattino è controsole. Volare in mezzo a due 8.000 è davvero emozionante. Durante l’avvicinamento a Jomsom, oltre le colline di Marpha, il piccolo twin otter accarezza i monti con le ali e poi atterra sulla piccola pista del villaggio.
http://www.youtube.com/watch?v=kveXnCHn6H0
http://www.youtube.com/watch?v=-8JnajHu2Vc
Uscita dall’Aeroporto, registro l’ACAP e iniziamo subito a camminare alla volta di Kagbeni.

Arrivo a Kagbeni in meno di tre ore e mi sistemo nella guest house. Sono felice perché ho il bagno in camera con l’acqua calda e la corrente elettrica. Non pensavo, davvero non me lo aspettavo proprio. L’hotel Shangri-La è carinissimo. Pieno di fiori e un sacco accogliente.

Io mi avvio verso il monastero, dove due monaci mi aprono e mi fanno visitare il Gompa. E’ ristrutturato e ha degli affreschi molto carini e soprattutto delle bellissime maschere cerimoniali che vengono usate durante i festival per le danze.


Andiamo al Check Post a registrare il trekking permit per l’Upper Mustang e l’ACAP. Al Check Post, che sta alla fine del paese, subito dopo il muromani con le ruote di preghiera c’è un piccolo museo con un sacco di foto, poster, descrizioni e studi sull’ambiente del Mustang, la flora, la fauna, i venti, le popolazioni, il numero dei visitatori. Qui finalmente scopro che la distanza del tragitto più breve tra Jomsom e Lo Manthang è di

Mi mangio una bella zuppa di noodles con le verdure e sto a chiacchierare fino alle 21.30.
Quando fai trekking non riesci ad andare a letto più tardi. Vuoi che fa freddo, vuoi che ti devi alzare presto, vuoi che in Nepal la gente va a coricarsi alle 21.00, alla fine vai a dormire pure tu.
GIORNO 2: KAGBENI – CHELE
In Mustang e in genere nell’Himalaya Buddhista al mattino presto usano ardere il ginepro come offerta e preghiera. Al mattino mi sveglio alle 6.40 con il profumo di ginepro nell’aria misto a quello di legna bruciata. La colazione è alle 7.00 e quando esco l’aria è bella frizzante.

Da Kagbeni la strada sale subito sulla montagna. Ci sono piccoli saliscendi sotto calanchi e colonnati di roccia meravigliosi. http://www.youtube.com/watch?v=nk9H6UCFatI C’è un sentiero a zig zag sulla montagna che, girandoci attorno, porta in cima a una parete rocciosa che, dal punto in cui siamo, appare verticale e liscia. Ci sono piccoli tornanti che curvano seguendo il profilo della montagna, ma con una pendenza comoda per non perdere fiato e abituarsi alla salita. Pasang prende scorciatoie che ripide scavalcano i tornanti risalendo la montagna per poi ridiscendere, io me le evito perché inutili, tanto ci si impiega lo stesso tempo. L’ultima scorciatoia di Pasang, passa sotto dei calanchi di sabbia e sassi che mi incuriosiscono. Lo seguo e i sassi iniziano a franare, prima i piccoli con la sabbia e poi i più grossi. Lo convinco che non è una strada sicura e cerco di spiegargli che in montagna non sempre è saggio prendere le cosiddette scorciatoie, anzi.



Chhusang è un posto grazioso e tranquillo. Riprendo il percorso e la strada risale e scende dolcemente seguendo il corso del Kali Gandaki. In fondo si vede una splendida parete di roccia liscia rossa che si erge a sinistra del canyon del fiume, sulla cui sommità si vedono i tetti delle case di Chele


GIORNO 3: CHELE – SYANGMOCHEN
Da Chele a Syangmochen sono circa 7 ore di cammino.
Questa è decisamente la giornata più impegnativa del trekking.
Al mattino Milan parte presto perché dice: “la strada è tanta”. Pasang mi dice di essere pronta alle 7.00, ma lui si presenta alle 7.30 e non mi ha fatto preparare la colazione, che vien pronta su mio sollecito alle 8.00. Partiamo alle 8.30. In Mustang sarebbe bene partire presto, non perché uno debba correre, ma perché alle 10.00/10.30 inizia un vento davvero forte. E camminare sotto il vento forte è uno sbattimento, sia per la fatica, sia per la pericolosità di crolli, frane e sassi vacanti che piovono dalle pareti di roccia e ghiaia.


Di Pasang neanche l’ombra. Il paesaggio è spettacolare, meraviglioso.
So, anche se non ci sono mai stata prima, che prima di Samar c’è un passo, e la cartina me lo conferma. Spero lui mi stia aspettando lì, come aveva detto. Procedo a passo spedito, sprecando molta energia perché cammino troppo veloce e inizio ad essere in alto. In Montagna devi camminare al ritmo del battito del tuo cuore. Mi accorgo che sono oltre, e ho anche il fiatone. Mi dico: MOLTO MALE! Ma non riesco ad andare più lentamente, non so quanta strada devo ancora percorrere per arrivare al passo ed è da molto che cammino da sola.

Scendo e mi incammino verso i chorten che vedo dietro la collina, in basso dopo il passo.
Quando arrivo lì, vedo il villaggio di Samar. Ma Pasang dove è? Non c’è.
Proseguo, entro nelle stupende viette labirintiche del villaggio, le percorro a naso e mi dirigo verso il chorten che sotto ha la porta d’uscita del villaggio. Lo attraverso e dietro, stravaccato al suolo, trovo Pasang che sta fumando in compagnia di un tizio. Li mortacci sua, mandare qualcuno a cercarmi no? A sto punto penso che Pasang sia davvero molto sprovveduto, molto inesperto e per niente in grado di gestire delle persone. Gli dico: “la strada che ho preso non so dove andasse a finire, e evidentemente non lo sapevi neanche tu e me l’hai indicata ugualmente” E lui: “Bho dev’essere interrotta”. Gli dico che d’ora in avanti avrei gradito parlare insieme molto chiaramente delle rotte da seguire, che so che lui sta imparando e che forse, per sicurezza, sarebbe stato meglio camminare sempre insieme, o a distanza ravvicinata. Lui non dice nulla, non chiede scusa, non dice ho sbagliato. Sinceramente non mi interessa. Mi interessa solo che capisca che, ok io e lui ci si diverte, ma se deve imparare a fare la brava guida così NON va. E che per essere una buona guida deve seguire le persone che porta e capirci qualcosa delle routes da prendere, deve chiedere quando non sa e non avere paura di dirmelo, altrimenti non avrà chances di lasciarsi alle spalle il lavoro come porter e progredire nel suo futuro.
Scendiamo nel ripido sentiero che porta giù al torrente per poi risalire sui gradini fino al primo passo, la natura qui è rigogliosa, poi come ho descritto sopra, si scende di nuovo e si risale sul Bena La.
Ci impiego un sacco a fare questo passo perché mi sono spompata correndo prima di Samar per raggiungere Pasang http://www.youtube.com/watch?v=AYyYrCREPME A Bena mi devo fermare per prendere energia. Mi riempio di zucchero, cioccolato e tea caldo. Solo dopo mezz’ora posso ricominciare a salire verso il terzo passo senza troppa fatica e riesco a smazzarmi anche il quarto prima di Syangmochen.
Noi dovremmo andare a Geling (altri

Milan, quando mi incontra mi dice solo di non camminare mai più da sola: "can be dangerous". E io tra me e me penso: Ma no??? Io lo so bene! http://www.youtube.com/watch?v=EBcsQg4k2-M
La sera ceniamo assieme e ci divertiamo tutti in compagnia.
GIORNO 4: SYANGMOCHEN
– TSARANG (CHARANG)


Io cammino tranquilla, Milan sta dietro di me, i ragazzi invece sono davanti.

A Ghami sostiamo per il pranzo tutti assieme nella prima guest house che troviamo sulla strada, prima dell’ingresso nel villaggio. E’ molto carina e ha un gran bel giardino. Dopo pranzo io, Riccardo e Marco andiamo a cercare il palazzo reale. Vogliamo conoscere la principessa.

La principessa ci fa vedere il Gompa del palazzo e poi la sua collezione di antichi Tangka, Zhi, conghiglie sacre. Ha dei pezzi davvero pregevoli. Resto colpita da un Tangka che rappresenta la Ruota della Vita, tutto miniato in oro e rosso, fatto talmente bene che Yama, il Dio degli inferi, sembra balzare fuori dal dipinto.
Alle 14.30 ritorno alla guest house e con Pasang mi incammino giù in direzione del sentiero per Tsarang che scende al fiume appena sotto Ghami e poi risale fino a un piano che, sulla sinistra porta a Drakmar oltre i grandi chorten rossi e sulla destra risale fino al muro mani più lungo del Nepal e prosegue inesorabile fino al passo Yam La da cui poi si scende piano piano in una piana fino all’ultima piccola salita che porta poi a un lungo sentiero fino a Tsarang.

Oltre il muro mani c’è la strada che va all’attacco della montagna verso il passo Yam La. E’ una strada a zig zag, che può essere tagliata con un percorso ripido in verticale, che seguiamo noi. In alcuni punti riprendo il zig zag, perché la salita col vento fortissimo, così ripida risulta inutilmente impegnativa, tanto che in alcuni punti non riusciamo neanche a andare avanti http://www.youtube.com/watch?v=6-FZ_LlSQYo


Dall’altra parte della valle, si vedono gli avvoltoi e le aquile in volo sui canaloni. Uno spettacolo. Scandiamo insieme verso Tsarang chiacchierando. Nell’ultima mezz’ora mi fa male il ginocchio, non mi è mai successo in vita mia, ma arrivo a Tsarang comunque senza grossi problemi.







La guest house non è nulla di che, con bagno in comune, insomma è normale come tante altre. Mi va bene uguale ovviamente. In Cucina, che è l’unico locale riscaldato, conosco una famiglia francese di 8 persone. Due di loro sono due bimbe di 6 e 9 anni.
Carini e stracarini i loro Nepalesi http://www.youtube.com/watch?v=bMLyjI9l3VI Kumar un omone grande e grosso è di gran compagnia e chiacchieriamo parecchio. Pasang va di Chang e Rakshi a nastro fino al tramortimento.
Stasera davvero facciamo festa, danze, canti, tutti insieme.
GIORNO 5: TSARANG (CHARANG) – LO MANTHANG

Dopo una abbondante colazione io e Pasang ci incamminiamo nel villaggio verso il Gompa http://www.youtube.com/watch?v=yNdcAodr8l0 dove ci sono i monaci a lezione.

Qui ho tempo di vedere da vicino le decorazioni tipiche Sakyapa, con le righe verticali.


Andiamo verso lo Dzong, ma non c’è molto da vedere, non c’è nessuno che ci faccia entrare e sembra essere in stato di abbandono. Un vero peccato.

Il sentiero scende ripido verso un canalone per poi risalire sulla montagna dal lato opposto http://www.youtube.com/watch?v=hvDv5NYkpnU
E’ un lieve saliscendi fino a un piccolo colle da svalicare oltre un chorten poi tutto più o meno in piano con la vista su monti innevati fino a un ultimo colle.








Fuori dal Gompa finalmente incontro Luigi, il restauratore italiano, che è in pausetta lavoro, tra una pennellata e un’altra sugli affreschi del 400:

http://www.luigifieni.com/conservation.html#/1_1/nepal-tupchen/tupchen-project
http://www.luigifieni.com/conservation.html#/1_1/nepal-jampa/jampa-project
Lui mi invita a casa sua per un tea per il giorno dopo.

Tornata alla Guest House, faccio una doccia calda, preparo il letto e mi rifugio in cucina. Anche Pasang sta con me, ormai siamo davvero inseparabili. Mi piace stare con le persone del posto a chiacchierare o spiegarsi a gesti, quando non ci si capisce a parole. Il risultato è che comunque in questi anni ho realizzato che con queste genti non si può non comunicare. Ceniamo e ci mettiamo d’accordo col gestore perché ci procuri dei cavalli per l’indomani alla volta delle Chhosar Caves e del monastero di Namgyal.
GIORNO 6: LO MANTHANG – CHHOSAR
Il gestore della guest house conosce tutti ed è in grado di organizzare escursioni a cavallo o in jeep verso le zone limitrofe di Lo Manthang. Io e Pasang decidiamo che nel nostro giorno di sosta qui a Lo Manthang andremo a cavallo fino a Chhosar.
Le Chhosar Caves sono bellissime, sempre nel deserto in quota, a pochi chilometri dal confine col Tibet bucherellano i bastioni di roccia ocra e rossi creando un’atmosfera davvero magica. In una mezza giornata abbondante si va e si torna a cavallo allungando per Namgyal, monastero molto bello e panoramico.


Il cielo è parzialmente coperto e col vento che tira in Mustang, stare in groppa al cavallo fa parecchio freddo. Io sono dell’idea che sia meglio farla a piedi. Pasang invece, passata l’iniziale titubanza, è felice come una pasqua, nonostante il freddo.

Qui l’insegnante di Tibetano e Inglese della scuola chiama due monacini che ci accompagneranno all’ingresso delle grotte. Uno di loro ha le chiavi d’accesso.





Ci rincamminiamo verso il monastero e i due piccoli monaci ci portano a vedere i loro umili alloggi.

Sono bellissimi http://www.youtube.com/watch?v=85K0hLvxtMQ

Di ritorno il vento si alza sempre più e prende forza sempre più, più passa il tempo.


Ci dirigiamo verso Namgyal, un bel monastero che è situato sopra la vallata in cui sorge Lo Manthang.



Luigi, che è un ottimo fotografo, cerca di pulirmi l’obiettivo, ma non riusciamo a risolvere un granché.
Tornata in Guest House, ritrovo Riccardo , Marco e Milan, con cui ceno e chiacchiero fino all’ora della nanna.
GIORNO 7: LO MANTHANG – GHAMI
Da Lo Manthang a Ghami sono 8 ore di cammino. Pasang non ha mai fatto il tratto che passa da Ghar Gompa ed è molto preoccupato perché ha paura di perdersi. Dopo Lo Manthang non è segnato nessun sentiero, inoltre ci sono due passi alti da svalicare. Ne parliamo col gestore della Lo Manthang Guest House che ci dice che i sentieri sono addirittura due, uno dei quali porta a Marang allungando il percorso e che, se non siamo certi della via, è poco sicuro proseguire da soli. Decidiamo di farci accompagnare da un cavallante, che è qui con noi in cucina e che deve andare al Gompa per una Puja. Pasang ora è decisamente sollevato.
Il sentiero appena tracciato e costantemente in salita, sembra non aver fine. Al di là del primo colle, ci si accorge che non è un vero e proprio colle, ma oltre c’è un piccolo avvallamento e un'altra salita ancora. Attraversiamo una vasta area verde dove trovano ricovero le greggi di capre, poi saliamo di nuovo accanto a un colle che conduce al Chogo La, passo a 4350 metri di altitudine, da cui poi si scende verso Ghar Gompa.
Ghar Gompa, che è considerato il più antico monastero del Mustang, è il monastero precursore di Samye in Tibet, e fu costruito nell’ottavo secolo dal Guru Rimpoche, Padmasambava, per attirare e sconfiggere gli Dei maligni che avrebbero potuto compromettere la costruzione di Samye.
Samye fu il primo monastero Buddhista, edificato in Tibet dal Guru Rimpoche su ordine del re Trhisong Detsen. Il monastero venne costruito una prima volta ma andò distrutto perché la valle in cui era stato edificato era invasa da demoni. Padmasambava, quindi costruì Ghar Gompa per distrarli e poi li sconfisse sul colle Hepo Ri, alla cui base finalmente edificò Samye.
Ghar Gompa contiere migliaia di immagini di Buddha scolpite nella pietra e finemente decorate, inoltre, i monaci dicono che qui siano conservate le scritture di Padmasambhava, il Guru Rimpoche.
Il Gompa è stato in parte restaurato: http://www.luigifieni.com/conservation.html#/1_1/nepal-ghar/ghar-project


E’ arrivato il momento della puja. Quando vado in himalaya a volte alcuni amici mi chiedono di far fare una puja per loro in luoghi particolarmente sacri, potenti e densi di misticismo, in modo tale che sia loro propizia, che li protegga e che porti loro del bene. Ghar Gompa è il posto adatto per farla http://www.youtube.com/watch?v=UhVmz4_r-6M




Pasang decide di abbandonare la via principale e ovviamente ci troviamo in un punto no way out. Ridiamo parecchio e ci facciamo qualche foto http://i50.tinypic.com/acu7n8.jpg E’ tutto il giorno che chiacchieriamo. Quindi torniamo indietro e attraversiamo la periferia sud del villaggio costeggiando e passando sotto le rocce.




Finalmente scendiamo a Ghami dal ripido sentiero.
Con Pasang decidiamo di stare al Royal Palace. Lui vuole tornare a casa e raccontare di aver dormito in un palazzo reale, a casa della principessa del Mustang. La sistemazione forse è la peggiore di tutto il trekking. Le stanze sul tetto hanno grossi spifferi e sono fredde e non molto pulite. Il palazzo è però molto bello e la principessa, che avevo conosciuto all’andata, è davvero accogliente. Il suo gompa privato e il suo negozio di anticaglie ha dei tangka meravigliosi, idem vale per le statue, le conchiglie e gli zhi. Riproviamo a trattare un po’. I costi però sono per me troppo alti. Partono da 450$. Siamo riusciti ad arrivare a 200 per la ruota della vita rosso fuoco e oro che avevo visto con Riccardo e Marco, ma per me è comunque ancora troppo.
La sera restiamo nella sala da pranzo accanto alla stufa: io, Pasang, la principessa e sua nonna, la sorella del Re, chiacchieriamo piacevolmente fino a che il fuoco si esaurisce e poi andiamo tutti a dormire.
GIORNO 8: GHAMI – SAMAR
Da Ghami a Samar, sono circa 7 ore. Il percorso è lo stesso fatto all’andata ma in senso opposto. Quindi sono 5 passi da svalicare. Bello tosto ma ci passa in allegria. Ci fermiamo quando ci pare e in alcuni punti, stranamente abbiamo la necessità di cazzeggiare e ci diamo ai Led Zeppelin o ai Linkin Park a tutto volume, cantando a squarciagola. Tanto non c’è nessuno.
Pasang è solare, felice, mi confida che è davvero contento di camminare con me, che non gli è mai successo di divertirsi così con nessun cliente, ne di riuscire a parlare così tanto di tutto ed avere comprensione nonostante lui sia così scombinato e abbia ancora molto da imparare. Dice che questa è un’esperienza che non dimenticherà mai. Pure io sono felice. Questo trekking è meraviglioso e Pasang è un mattacchione, con cui mi sto divertendo tantissimo.
A Syangmochen ci fermiamo in una locanda. La fame arriva. Qui ci facciamo l’ennesima zuppa di noodles, ma non basta. “Ci facciamo un altro tea?” E vada per il tea. Ci vorrebbero i biscotti, ma non ne abbiamo. A sto punto decido di sfoderare la stecca di nocciolato fondente della Lindt. Pasang la guarda un po’ stupito e mi fa “Che c’ha dentro? Peanutes?” e io: “Non mi dire che non hai mai visto ne assaggiato una nocciola” Never! Pasang non ne aveva mai mangiate. E gli piacciono un sacco. Gli prometto che l’anno prossimo gli porterò una stecca tutta per lui. Usciamo e continuiamo.
Il percorso dei passi verso Samar è duretto anche al ritorno, ma sarà che appunto è “il ritorno”, io lo sento davvero molto meno rispetto all’andata.
Arrivati a Samar ci dirigiamo verso l’Annapurna Guest House, che è la guest house più nota e carina del villaggio, con le camere col bagno e la doccia calda, ma purtroppo è full, tutta piena, non ha nemmeno una stanza libera. Pasang dice che è un peccato perché qui gli avevano detto che c’era da divertirsi. Pazienza, proseguiamo fino all’Himal Hotel and Lodge, che sta più avanti, verso la fine del villaggio, accanto a un campo di alberi da frutto.
Questa guest house è una casa famiglia. La cucina è calda e la camera è pulita e ha il bagno proprio accanto. Certo, come la maggior parte delle guest house, le pareti delle camere sono di compensato. Se ti ci appoggi finisci nella camera accanto, sul letto del vicino. Non c’è acqua calda ma l’elettricità c’è 24 ore su 24 e le donne, se vuoi ti danno un catino con l’acqua bollita per lavarti al mattino. Le padrone di casa in cucina stanno pelando le patate e ci sono alcune guide e alcuni porter con cui beviamo un tea coi biscotti. Loro stanno andando su con dei tedeschi. Quando arriva il proprietario io e Pasang ci guardiamo senza dire nulla, è l’uomo più sporco che ho incontrato in Mustang, talmente sporco che ha i pantaloni con una crosta lucida che li ricopre interamente e che sarà lì da no so quanto. Gli altri che bazzicano qui sono tutti dignitosi. Lui è proprio un caprone ma è gentilissimo e sorridente. Poco dopo arriva il fratello gemello che è uguale a lui e puzzolentissimo pure lui. La cosa che fa ridere un sacco Pasang è che loro vogliono stare attorno alla stufa con noi a parlare, sono un sacco socievoli e continuano a porgerci le loro lerce pelli di yak, dove dicono che ci dobbiamo sedere per stare più caldi. Ma ne io ne Pasang abbiamo voglia di metterci lì sopra. Vi giuro, io sono molto adattabile, ma sta cosa a prova di pulce davvero non me la sono sentita di utilizzarla e son rimasta sullo sgabello. Ceniamo bene e restiamo a chiacchierare più o meno sino alle 21.30 accanto alla caldissima stufa. Parliamo moltissimo e lui non finisce di ringraziarmi. Non ha mai avuto una cliente come me, che gli è stata vicina e si scusa per gli innumerevoli errori commessi. Io gli dico che è giovane e deve imparare, che non c’è problema, e non c’è veramente. Per me è un trekking bellissimo.
GIORNO 9: SAMAR – KAGBENI
La mattina è splendida, sole e tepore. Da Samar a Kagbeni sono circa 7 ore. Dopo il passo Dajong La http://www.youtube.com/watch?v=VdBz6PrXJkw riaffronto il sentiero meraviglioso a gradoni strapiombanti che porta giù a Chele http://www.youtube.com/watch?v=t_bfxZxIoF0 però sta volta Pasang è al mio fianco http://www.youtube.com/watch?v=8coQuQKg0EU
Tiriamo fino a Chhusang dove finalmente ci fermiamo per un tea. Io pranzerei anche, visto che qui cucinano bene, ma Pasang dice che sarà più bello fermarci a pranzo nella Apple Farm giapponese sopra la montagna. Quindi risaliamo pian piano sui tornanti e arriviamo sopra il costone di roccia dove c’è questa fattoria. Giriamo attorno all’ingresso, ma non c’è anima viva. E’ chiusa. Pasang viene preso da scoramento: “Nooo io non ce la faccio a camminare senza cibo, didi e adesso che facciamo? Avevi ragione tu, dovevamo fermarci a Chhusang!” Io mi metto a ridere e lui: “No didi non ce la faccio davvero” Gli dico di mettere giù il saccone e di fidarsi di me. Apro il mio Duffell e tiro fuori il mio pacco provviste per le emergenze: un salame, due scatolette di carne, i taralli e un pacchetto di parmigiano reggiano a tocchetti sottovuoto. Poi prendo il mio coltellino svizzero: “Pasang tu sei Buddhista no? Se vuoi ti posso dare una scatola di carne di manzo e ci mangiamo sto salame, sempre se non hai problemi” e lui: “Io posso mangiare quello che mi pare, mica sono induista, però non lo dire ad Ammar che ho mangiato la vacca santa” Ci mettiamo a ridere e iniziamo a mangiare. Pasang resta totalmente estasiato dal parmigiano e mi chiede se ne ho ancora e se può tenersi il pacchetto già aperto per stasera. Io gli dico che non c’è problema e che ne abbiamo ancora due pacchetti. “Didi non ho mai mangiato un formaggio così buono”. Eh santa Italia!
Nel percorso in discesa troviamo dei fossili. E sì, la valle del Kali Gandaki è molto famosa per i fossili, si trovano amoniti, zampe di animali marini, conchiglie. Qui, come in Tibet c’era il mare. Pasang mi dice che a Muktinath ce ne sono un sacco e pure appena fuori Jomsom, sul greto del fiume. Lui mi racconta che la gente del posto va a caccia di sassi. Soprattutto quelli tondi e scuri, i Saligramam. Li prendono e li scagliano su altri sassi in modo che si spacchino a metà e rivelino i fossili al loro interno e poi li vendono ai mercati. Ovviamente non è una cosa lecita, ma molti la fanno, perché c’è chi compera. Non si dovrebbero acquistare per non incrementare questo commercio che depaupera il Kali Gandaki dei suoi frammenti di storia. Se si sta attenti, per terra, anche sulla strada ci sono molti frammenti. Ovviamente van lasciati dove sono. Se tutti si portassero via i fossili, non ce ne sarebbero già più.
Arriviamo con calma a Kagbeni, chiacchierando e ridendo http://www.youtube.com/watch?v=xEGN9_GjYpI Ci fermiamo subito al check post, registriamo il trekking permit e l’uscita dall’area protetta dell’Upper Mustang dopodiché andiamo allo Shangri-La Hotel dove nella mia bella camera matrimoniale con vista sul Nilghiri mi faccio una doccia calda e finalmente mi rilavo i capelli. Giù mi aspetta una bella merenda: tea, biscotti e popcorn.
La sera sto con le cuoche a vedere le fotografie e a chiacchierare. Poi a nanna presto che domattina si torna in quota.
GIORNO 10: KAGBENI – MUKTINATH

Mi vesto e scendo per la colazione. Un’omelette, e un tea caldo.
Il tratto da Kagbeni a Muktinath è di 3 ore e mezza.


Arriviamo al villaggio di Jarkhot che sta a 40 minuti da Muktinath, tipicamente tibetano, con un bel gompa.


Parlo con Amrit e con Yam, chiamo mia madre in Italia che finalmente mi sente ed è felice e poi chiamo Paola che è in ufficio e inizialmente non capisce chi io sia. Non ricordo bene (eheheheh) ma mi sa che ho chiamato pure il Brahmino. Sì sì, l’ho chiamato il mio Brahmino.
Il sole scotta a 3800 metri, mi bevo un tea e mangio un piattone di riso saltato con le verdure.
A pranzo finito, andiamo verso la zona dei templi e passiamo al check post a far timbrare il trekking permit. Il check post sta proprio nello stesso vecchio stabile dell’ospizio dei pellegrini. Muktinath è piena di gente, troppo affollata. Qui arrivano giù dal Thorung La, l’alto passo a oltre 5400 metri, tutti i trekkers che fanno il Circolo dell’Annapurna, che è una delle trekking routes più battute del Nepal.
Arrivata su, io non percepisco tutta questa energia positiva che dovrei avere in un luogo così mistico come Muktinath, che è uno degli 8 luoghi più santi per gli induisti e per i buddhisti del subcontinente indiano, un luogo che è simbolo di armonia e integrazione tra queste due grandi religioni.
Il tempio indù dedicato a Vishnu è uno dei più antichi esistenti e ha la murti della divinità custodita all’interno di una piccola pagoda che sta in una piazzetta circondata da 108 fontanelle a forma di testa di vacca da cui sgorga acqua santa.
http://www.youtube.com/watch?v=InqSeyBBy3c I fedeli vestiti di bianco sono soliti fare la Khora passando sotto le fontanelle e facendosi letteralmente una doccia ghiacciata, che diciamo che farà tanto bene al loro spirito ma a 3800 metri non so quanto farà bene al loro fisico.

Io e Pasang non stiamo più di un’ora e mezza tra i templi. Facciamo ognuno il suo piccolo chorten di pietre sacre, per ringraziare per come ci sia andata bene fin ora, e poi scendiamo verso la caotica cittadina.
In Guest House c’è fermento, e fa freddissimo. In Himalaya non sono abituati a chiudere le porte, questo perché, soprattutto le popolazioni di origine tibetana, sono cresciute in tende, le cui porte non erano altro che un telo spesso di cotone o lana con ricamati simboli sacri buddhisti e rivestito di pelle di yak, per cui non hanno mai avuto la necessità di aprire o chiudere una porta. La porta va, come va il vento. Indi la lasciano sempre aperta, sicché la temperatura che c’è all’interno delle strutture in muratura spesso è pari a quella esterna, conservando però in più umidità e vento. Pasang mi fa: “Giaroooo!” che sarebbe “gelido”. Il sole sta diventando debole e le montagne fanno ombra sul villaggio. Ci guardiamo e pensiamo la stessa cosa: “questo posto non ci piace” o per lo meno, non ci va più di stare qui. Io gli dico che potremmo incamminarci e tornar giù a piedi a Kagbeni. Pasang dice che tra un’ora arriva il buio e che sarebbe troppo pericoloso scendere a piedi. Ci sono troppi burroni e poi ha paura di perdere la strada. Mi dice:” come facciamo?”. Io ho un flashback a molti anni fa, quando giravo il Nepal e le sue splendide colline in motocicletta con la mia metà, sentendomi un po’ il Che con Granado nei Diari della Motocicletta, però in Nepal.” Pasang sei mai andato in moto nei sentieri alti in Himalaya?” e lui: “no Didi, sempre a piedi” e io:”dai forza, andiamo in paese e cerchiamo una moto!” lui inizia a ridere e mi dice che sono matta, nessuno si avventura di notte sugli sterrati in montagna in moto. E’ pericoloso. Io gli dico che se tra un’ora farà buio, tra un’ora in moto saremo alle porte di Kagbeni.
Chiediamo in città e quando ormai ci sembra di non avere più speranze che nessuno ci fornirà nessuna motocicletta, riusciamo a combinare.
Il tramonto sta arrivando e da un lato il cielo blu scuro è all’orizzonte dell’Himalaya, e dall’altro il colore dell’orizzonte dietro le colline assume tinte sempre più sgargianti. Dopo Jarkhot, imboccata la valle che scende verso il bivio per Jomsom e per Kagbeni, il Dhaulagiri ci appare da dietro le colline rosso come il fuoco. Urliamo di gioia e stupore. Quasi mi scendono le lacrime, un po’ per il vento gelido, un po’ per lo spettacolo e l’emozione di vedere questo 8000 infuocato dal sole al tramonto. Credo che questo sia stato il tratto in moto più emozionante che ho fatto in Nepal.
Quando arriviamo a Kagbeni è buio e siamo esaltati come due ragazzini. Sì ok, io sono esaltata come una ragazzina, Pasang è un ragazzo, per fortuna sua è sempre sorridente e entusiasta.
Entriamo allo Shangri-La facendo baccano e il gestore ci accoglie stupito: ”Che fate voi qui?” e noi: “Siamo scesi da Muktinath in moto!” e lui: “ma è buio pesto! Dai venite in cucina a mangiare”. Ci accolgono tutti con calore. E’ bellissimo davvero. Per cena c’è la zuppa di noodles con le verdure. Insegno a Pasang a grattugiarci dentro il parmigiano, poi ci mettiamo dentro i taralli rimasti al posto dei crostini. Per noi è un gran cenone, siamo felici, soddisfatti e appagati per aver chiuso la nostra giornata in modo strepitoso, in moto, in Himalaya e andiamo a nanna contenti.
GIORNO 11: KAGBENI – JOMSOM
Da Kagbeni a Jomsom sono 2 ore e mezza di cammino, massimo 3. Partiamo al mattino con calma tra una chiacchiera e un’altra risaliamo il corso del Kali Gandaki e delle colline che a picco si ergono sul fiume http://www.youtube.com/watch?v=aaBzqUeHMf0
A circa una mezz’ora da Jomsom, lasciamo il sentiero e ci fermiamo una mezz’ora in riva al fiume. Pasang cerca i Saligramam per farmeli vedere in natura, ma non ne trova, se li devono essere presi tutti i commercianti, gli dico io. A Muktinath infatti, appena giù dal sentiero che porta dai templi al villaggio c’erano parecchi banchetti che vendevano questi fossili contenuti nei sassi tondi neri. Per gli induisti sono sacri e sono considerati manifestazioni di Vishnu in terra. Io credo che dovrebbero essere lasciati dove sono. Nel greto del fiume.
Jomson ci appare all’orizzonte proprio sotto la cima del Dhaulagiri.

Arriviamo a Jomsom alle 10.30 del mattino http://www.youtube.com/watch?v=S6sFmC6AZzY
Il vento si è già alzato e percorriamo tutta la via principale fino alla fine del villaggio dopo l’aeroporto dove c’è la nostra Guest House che è praticamente con vista panoramica sul Nilghiri e sulla pista dell’aeroportino del villaggio.
Arrivati al Tilicho Hotel, la prima cosa che facciamo è farci dare le stanze. La mia al pian terreno sul cortile dell’hotel, ha due bei letti singoli e un bel bagno con la doccia calda. Mentre io mi sorseggio un tea mando Pasang nella mia stanza a farsi la doccia, visto che la sua camera non ce l’ha. Poi, quando lui ha finito e esce, mi fiondo in doccia pure io. I miei pantaloni da trekking sembrano di cartone, nonostante li abbia spesso sbattuti, non li lavo da quando siamo partiti e sono impolverati a tal punto che nonostante siano neri il colore che hanno assunto è più o meno grigio beije. Mi rilavo i capelli e poi accumulo tutte le cose da lavare e esco nel cortile.
E’ ora di pranzo, un piatto di momo e via a passeggio. Non ci è bastato aver fatto 200km di trekking, vogliamo fare due passi a Jomsom.
Andiamo in cerca della casa di Jimi Hendrix.
Eh già. Negli anni '60 il grande chitarrista, mito di milioni di hippies aveva trovato casa proprio qui. Jomson infatti è tutt’ora meta di pellegrinaggio da parte di nostalgici dei sixties.
Arrivati alla guest house io salgo sul terrazzone a vedere il Nilghiri al tramonto poi entro nella sala da pranzo tutta a vetri. Ci ha battuto il sole durante il giorno e all’interno c’è un bel tepore. Mi siedo e prendo un tea con una ottima apple pie e: “Hallo!” Mi giro e vedo che è Jacob, il trekker solitario tedesco. Un abbraccio e si siede con me a chiacchierare. Decidiamo di cenare insieme.
Qui c’è il wifi, e funziona bene, finalmente riesco a comunicare anche coi miei amici tramite FB e a postare qualche foto. E’ l’ora del sonno. Domani si torna giù a Pokhara.
RITORNO A POKHARA
Al mattino, dopo una abbondante colazione mi metto sul
terrazzone che sta affacciato sulla pista dell’aeroporto a godermi lo
spettacolo degli atterraggi e dei decolli con lo sfondo dei ghiacci a 7000
metri del Nilghiri http://www.youtube.com/watch?v=dFoN2VKG9fk
Poi Pasang mi chiama: ”Sono le 8.30 e tra neanche un’oretta
abbiamo il volo per Pokhara, dobbiamo scendere in aeroporto”.Se ti siedi a destra vedi l’ice fall del Dhaulaghiri, se ti siedi a sinistra vedi l’Annapurna (controsole) molto bello, tanto bello, tutti e due vicini vicini, ti sembra di toccarli con le mani. Da togliere il fiato.
Sento Yam ed è stra preoccupato, non vuole che io prenda il microbus: “E’ pericoloso! Aspetta domani!” Ma io non posso aspettare, domani è l’unico giorno che ho per stare un po’ tranquilla in Valle. Voglio tornare a Kathmandu e arrivare nel primo pomeriggio.
Il microbus è carico e più volte l’autista viene insultato da due signore e da un giovane che sono stra preoccupati per la loro incolumità. Corre troppo, fa sorpassi azzardati in curva sui tornanti, è quasi sempre nella corsia opposta. Insomma non è il massimo e io sconsiglio vivamente a qualsiasi viaggiatore di fare questa esperienza. Abbiamo rischiato due frontali con due camion. E la strada a doppio senso di circolazione, che ha una sola corsia per ogni senso di marcia, ha il costone di roccia da un lato e il burrone dall’altro. Arriviamo a Kalanki alle 15.30, in 5 ore e mezza da cardio palmo, quando col bus ce ne voglio 7 o 8. Aveva ragione Yam, mai più. Io e Pasang ci abbracciamo forte forte. Il nostro trekking in Upper Mustang è stato un’ esperienza meravigliosa per tutti e due.
A Kalanki c’è già chi mi sta aspettando, mi saluta dal finestrino dell’auto. Adesso sorride sempre ed è felice quando mi vede. Sarà perché non mi vede mai, dico io, lui dice di no.
Ora andiamo a Bhaktapur, la mia Bhaktapur, la nostra Bhaktapur. Torniamo a casa. Mero ghar Nepalma.
2 commenti:
"Non so essere breve."
:-)
Chérie non ho il dono della sintesi, ma ne ho altri :-P
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