La mia Via della Seta
Sono tornata dal mio viaggione a fine agosto ed è stato massacrante.
Ai primi del mese ero a Istanbul a bere il tea alla mela e a fumarmi il narghilè al gran bazar. Istanbul un buon posto da dove iniziare. Mi sono detta che prima della fine dell’anno ci sarei tornata con Raj Kumar per assaporarmela con lui, questa magica città che è il punto d’incontro tra oriente e occidente e che è stata la prima microtappa nella mia Via della Seta, prima di approdare in Cina.
Il clima in Cina ti mette a dura prova, perché da Pechino fino a Xian i 38 e passa gradi li percepisci più caldi per via della cappa di inquinamento e umidità che sovrasta queste zone. Poi con il popolo di Mao è impossibile comunicare, nelle grandi città quasi nessuno sa l’inglese e negli altri centri abitati più piccoli non c’è verso di capirsi neanche in cinese perché ogni piccola contea ha il suo dialetto e se chiedi acqua minerale in cinese non ti capiscono. Esprimersi a gesti è inutile perché se gli fai il gesto a 5 dita che per noi vuol dire ASPETTA STOP, per loro è WU e cioè 5 e se sei in un ristorante, ti devi rassegnare perché ti porteranno 5 portate identiche proprio del cibo che volevi evitare...magari testa di montone in brodo di aglio piccante...I bambini sono bellissimi tutti con i calzoncini con lo spacco sul culetto per i bisognini...A Beijing sono arrivata 3 giorni prima dell’inizio delle OLIMPIADI e non ti dico il delirio che c’era. Loro sono organizzatissimi, svizzeri con gli occhi a mandorla, che tengono a farti vedere tutto perfetto, cinematografico, unico. Megafoni e radio trasmettono il jingle delle olimpiadi ovunque, il traffico è insostenibile e le aiuole spartitraffico sono dei giardinetti splendidi. Noi, arrivati al mattino del 5 agosto, andiamo subito al tempio del cielo per assaporare un angolo di tranquillità e star distanti dal caos. Qui il silenzio è magico sul serio. Senti solo i grilli, gli uccellini, il frusciare dei ventagli e vedi sullo sfondo, dopo una linea fitta verde, lo skyline dei nuovi grattacieli pechinesi. Un contrasto stranissimo. C’è odore di incenso ovunque e il caldo è talmente statico e umido che senti la testa come un bollitore per il riso cinese. Il tempio è grande e dispersivo per gli spazi vuoti dei cortili a cielo aperto...quando torniamo in hotel è già sera. Siamo non lontano da Tienamen e accanto ai palazzoni dove sorge il nostro hotel c’è ancora un piccolo abbozzo di utong sopravvissuto alla ricostruzione moderna. La gente vive sulla strada, le casine grigie hanno le porte aperte, c’è chi esce e chi entra, bambini che giocano ovunque, qualcuno che ha il letto fuori dalla porta di casa al fresco serale. Ho la fortuna di poter vedere un bagno pubblico..quelli fatti costruire da Mao. Ce ne sono molti sparsi dove una volta c’erano gli utong. Ci sono le docce, i phon e i gabinetti sono uno spettacolo....c’è un canale a L in pendenza con tanti piccoli muretti che separano le postazioni...ovviamente non ci sono porte e tutte le donne chiacchierano animatamente mentre fanno i propri bisogni guardandosi in faccia...un posto dove si socializza.
Per mangiare troviamo ciò che dovrebbe essere l’equivalente di una trattoria di quartiere. Ovviamente posate ZERO, INGLESE ZERO. Guardiamo nel piatto del vicino per ordinare qualcosa di commestibile e per l’acqua vado direttamente in cucina, apro il frigorifero e mi prendo ciò che serve...perché neanche indicandogliela col ditino mi capiscono che voglio ACQUA. FANTASTICO!
La mattina seguente ci svegliamo alle 5...la meta è la GREAT WALL, ma non badaling...quella più distante e un po’ meno turistica, vogliamo allontanarci il più possibile da Beijing. Stamattina arriverà la torcia olimpica a Tienamen...ci sarà un macello. Alle 7.30 circa siamo nella piazzetta da dove prenderemo la cabinovia per arrivare in cima alla muraglia. C’è un nebbione come in padania in inverno però d’afa...ci sono più di 30 gradi...chissà tra qualche ora che forno...e meno male che siamo in collina! Scorgiamo i primi bastioni tra la vegetazione e la foschia...non c’è nessuno...solo noi 4 disperati. E’ davvero bello! Se penso a quanto è lunga...sta muraglia...che emozione! Ci facciamo una bella passeggiata su e giù per gli scalini almeno per 3 ore buone...non descrivo il caldo...scrivo solo che anche se la foschia rende il posto suggestivo e magico forse se fosse stato più freddo e il cielo fosse stato più terso sarebbe stato uno SPETTACOLO più godibile. Il ritorno è in discesa...ma la discesa è molto Gardaland...su uno scivolo in slittino con tanto di freno a mano per fare i curvoni...in 20 minuti ritroviamo il nostro pullmino...un giro in giostra.
A pranzo passeggio in Tienamen, non ho mai visto una piazza così grande, così immensa, mi ci perdo. Ci fanno dei controlli come in aeroporto. C’è molta gente, ma lì è talmente grande che non sembra neanche affollata. Ci sono le sculture di fiori per le olimpiadi...ONE WORLD ONE DREAM...che scenografie. La gigantografia del visetto di Mao è sempre lì...sulla porta della città proibita. La rivoluzione culturale...lo stravolgimento culturale. W la repubblica popolare cinese. Sulla guida c’è scritto che gli ideogrammi alla sinistra di Mao recitano proprio così. Bandiere rosse ovunque. Strano però ho visto solo 3 o 4 biciclette...ma la Cina in bici? Che fine hanno fatto i reggimenti di cinesi in bicicletta?? La foschia c’è perché son sparite le biciclette...Ricordo, mentre guardo la piazza a perdita d’occhio...ricordo Tienamen...
L’ingresso alla città proibita è anch’esso enorme...e il cortile interno che ti si apre alla vista è un altro spazio immenso. Le scalinate e la rampa attraverso cui portavano l’imperatore...rivedo i fotogrammi del film “L’ultimo imperatore”, immagino come doveva essere quando davvero era FORBIDDEN. Qui dentro si fa un balzo indietro nel tempo. Tutte le colonnine di marmo e i draghi...immagino le fontane d’acqua che si formano dalle bocche dei draghi durante la pioggia. La città proibita è una città nella città. Ci sono militari ovunque. Spesso ci cacciano perché o lì o là non si può guardare o non si può andare. Quando esco sono stravolta. Mi ritrovo nel pomeriggio in una via affollata di Pechino con tanta fame. Pechino sotto olimpiadi è dura. Mega schermi ovunque... sulle pareti dei palazzi.
C’è un enorme catena di ristoranti sottoterra, tutti insieme...un centro commerciale sotterraneo fatto di soli ristoranti. Sui banconi in fila ci sono piatti già fatti da scegliere al momento: gli fai vedere ciò che vuoi e il cuoco inizia a cucinare. Spiedini, riso, gelatine di non so cosa con dentro non so che, insalate di frutta, pesce, spaghetti in brodo o asciutti. Il sapore dei cibi è piuttosto indefinito. La fame è tanta. Peperoncino ovunque...
Passeggio in un mercato all’aperto e il cibo esposto è variopinto... a un primo sguardo non vedo niente di commestibile: spiedini di pesce secco, spiedini di cavallucci marini e larve...allora non stanno solo sulle foto di “bastardidentro”...SONO VERI! Per fortuna c’è anche il melone e poi valanghe di frutta caramellata. Da qui inizia la caccia al plum cake, perché almeno a colazione desidero mangiare qualcosa di normale. Trovare dei buoni mien se hai poco tempo è difficile, soprattutto se sei intollerante all’aglio e al peperoncino. Tutto è piccantissimo.
Il treno per Luoyang è dopo le 22.30. La stazione di Pechino vista da fuori sembra un Grand Hotel, dentro però è alquanto modesta. La gente si accalca disordinatamente ai cancelli di accesso alle banchine dei treni, anche se manca più di un’ora alla partenza. Molti mangiano chow mien liofilizzati seduti sui propri sacchi bagaglio, altri dormono stesi su giornali per terra. C’è un caos biblico e non c’è una scritta che sia una in caratteri occidentali. Ci fanno passare 15 minuti prima della partenza. Le carrozze hanno l’aria condizionata, non ci sono scompartimenti, o meglio, ci sono a 6 cuccette ma non hanno porte. Tutto è molto pulito, c’è il bollitore su ogni tavolino.
A Luoyang arriviamo al mattino e andiamo subito alle cave di Longmen, delle falesie a picco sulla sponda del fiume sulle cui pareti sono state scavate delle nicchie in cui sono state scolpite migliaia di statue di Buddha. Il fiume ha un’acqua putrida e l’umidità è insopportabile...anche qui c’è nebbia...la nostra passeggiata è piuttosto lunga, ma davvero ne vale la pena, vi sono anche molti pellegrini che vengono a pregare i vari Buddha e a fare offerte davanti agli altari. A circa 30 chilometri da Longmen visitiamo il sito della White Horse Pagoda, un monastero buddhista molto tranquillo che mi ricorda le oasi sacre in Thailandia. Ci sono un bel po’ di monaci con le tonache gialle che spargono incensi e preghiere al vento. La pagoda mi ricorda uno Shiva Lingam...dove sono? Caldo...caldissimo...
Il monastero Shaolin sulle colline poco distanti, proprio quello dei monaci che son venuti in tour anche a Milano, invece è un bel college american style, dove si insegna a migliaia di ragazzini a meditare con le arti marziali. Un luogo che ai turisti sembra molto un parco giochi per gli spettacoli dimostrativi che fanno fare agli studenti...ma non è altro che una scuola...c’è troppa gente.
La sera, prima di partire, il nostro driver ci porta in un tipico ristorante dove fanno la famosa cena acquatica...24 portate incomprensibili in BRODO mi mettono a dura prova.
Il treno notturno ci porta a Xian. La città è bella, molto diversa da Beijing anche se anch’essa enorme. La stazione è appena fuori le mura e il nostro hotel sembra ancora in costruzione...ristrutturazione per le olimpiadi... Appena arrivati andiamo all’Esercito di Terracotta. Non è ancora affollato perché è relativamente presto e anche qui il posto è talmente grande che la gente si disperde facilmente. Poi è il primo giorno OLIMPICO...Le statue, nonostante siano state vittime di incendio e siano state rotte in mille pezzi, sono ben conservate e il restauro sembra fatto davvero bene. Sono sul serio una diversa dall’altra e poi sono alte più di un metro e novanta. Sono così tante...e ne hanno portate alla luce sono una piccola parte. E’ impressionante. C’è un’area di chilometri e chilometri quadrati in cui sotto terra si trova questo tesoro. Il museo ci prende tutta la mattina. Finalmente un lauto pranzo con tanto di chow mien fatti a mano davanti ai nostri occhi, tagliatelle cinesi e pollo con verdure.
Quando torniamo in città, ci fermiamo al mercato islamico. Il pomeriggio sta finendo e qui c’è una frenesia tipica dell’oriente, ho qualche flash su tamel...la mia tamel...La gente è sorridente, cortese. Facciamo un giretto in moschea...pace totale...e poi andiamo a far visita a qualche retrobottega. Giade, pezzi Tang, Ming, chissà...ma quanta roba hanno sti cinesi nei retrobottega???
Il giorno dopo non ce la faccio...sono una donna morta. Riesco a salire in cima alla Pagoda della Piccola Oca e a fare un giretto a quella della Grande Oca, poi dormo sul pulmino fino all’ora di pranzo. Il pomeriggio mi sfugge. Faccio una cinquantina di foto alla gente...gli aquiloni cinesi, i grilli in gabbia appesi e gli uccellini con i vecchini...mi mangio una ciotola di chow mien in strada...Xian è da vedere. E’ molto affascinante.
Un altro treno notturno ci porta a Tian Shui. Sta volta niente cuccette...stiamo sui posti a sedere più o meno ammassati...per fortuna son sono tantissime ore. Arriviamo lì alle 3 dei mattino giusto in tempo per una dormitina prima del viaggio verso Maijishan. Al mattino Tian Shui è animata da un mercato lungo le sue vie principali e il traffico è tutto bloccato.
Maijishan è una località collinare dove sulle pareti a picco di una montagna sono state scavate delle grotte e sono stati scolpiti dei Buddha giganti alcuni dei quali hanno ancora un po’ del loro colore originale. Per vederli ci si deve inerpicare su una scala appesa alla montagna...insomma una bella passeggiata con un bel panorama a prova di che soffre di vertigini.
Ci spostiamo verso il Qingai, regione da cui è partito il primo treno per il Tibet. Il paesaggio cambia e il clima finalmente si fa piacevole. Arriviamo a Lanzhou. La città ci si apre davanti dopo chilometri e chilometri di niente. Un grattacielo dietro l’altro in una valle tra le montagne e in mezzo scorre il fiume Giallo.
Anche qui non ci si capisce...non c’è verso. Per telefonare all’estero è un delirio. Mi sono fatta scrivere in cinese: DOVE POSSO FARE CHIAMATE INTERNAZIONALI? E vado in giro facendolo vedere a chiunque come una sordomuta. Hard!
La mattina viaggiamo verso Xinjing. Da lì visitiamo Taer, dove dicono sia nato Tzong Khapa. Qui ci sono molti pellegrini tibetani e il monastero Buddhista è davvero suggestivo. Un angolo di misticismo e pace. Rivedo i monaci al ripasso pomeridiano degli studi e mi godo una bella Puja. Sto un po’ a guardare una statua di Avalokyteswara e penso a Raj...non siamo molto lontani...ci separa l’Himalaya. Fa freddo e piove, chi l’avrebbe mai detto. Non riesco a fare il kora, il tempo è davvero inclemente ed è un vero peccato.
Il mattino seguente torniamo a Lanzhou. Qui visitiamo il ponte dell’amicizia che sta a 2 passi dal monastero Taoista. In questo angolo di pasce tra i grattacieli c’è un famoso indovino, c’è chi dice sia quello di Terzani...effettivamente sembra davvero ultracentenario. Pesco una bacchetta e lui mi da un foglietto ricamato di ideogrammi...vado dall’interprete che in cinese mi spiega, per un quarto d’ora buono, il significato della profezia...HO DETTO IN CINESE...l’autista sorride e dandomi una pacchetta sulla spalla mi dice: “Good! Especially for the long time!” Bah...avrà voluto dire che andrà bene...I hope!
Diamo un’occhiata alle vecchie macine per il grano e alle zattere fatte con le pelli di maiale gonfiate come galleggianti...decisamente inquietanti. La sera cerco un internet point che mi hanno detto essere in prossimità della piazza della stazione...al 4 piano di un palazzo anonimo, in un openspace che mi ricorda il mio ufficio, ci sono file concentriche di postazioni PC tutte occupate da ragazzi intenti a giocare a videogame ammazza-spara...alienante...per fortuna la connessione è buona e, a parte qualche problema con la tastiera che digita testo auto tradotto in ideogrammi, riesco a comunicare con l’occidente. Il problema grosso è comunicare...io ho bisogno di fare pipì e un cessua (WC in cinese) non si trova neanche nei ristoranti! Mi riduco a chiedere aiuto alla polizia...ma questi mi guardano alienati pure loro...o la faccio in piazza o me la devo tenere!
Altro treno altra corsa...alla volta di Jiayuguan. Fa freddino e dal treno al mattino all’orizzonte scorgiamo ciò che ci viene detto essere l’Himalaya visto da nord...Siamo nel corridoio del Gansu e appena arrivati ci dirigiamo subito alla fortezza nel deserto. I cinesi dicono che queste sabbie sono quelle del deserto dei Gobi che avanza in Cina dalla Mongolia a ritmo incessante. Io guardo la mia cartina e resto un po’ perplessa...il Gobi mi risulta essere più a nord...ma qui ormai inizio a non aver più cognizione ne di spazio ne di tempo. Sta Cina mi sta spazzando via ogni punto di riferimento.
La fortezza di Jiayuguan è davvero un gioiello nel deserto...poi con le montagne innevate all’orizzonte dietro i bastioni ti lascia davvero a bocca aperta. Il silenzio è unico e l’aria è gelida nonostante il sole al mattino sia già caldo. Camminiamo sulle mura di cinta e vediamo qualche carovana di cammelli che appare e scompare nel deserto. Da qui ci spostiamo verso la Great Wall. Qui vicino c’è una parte di muraglia pressoché intatta e vederla in mezzo al deserto su queste aride colline è meraviglioso. Il resto della giornata è di viaggio alla volta di Dunhuang l’oasi nel deserto. Qui è splendido, percorriamo chilometri e chilometro di strada in mezzo al deserto ventoso. Arrivata in questa città vedo qualche turista perché Dunhuang é l’unico centro abitato che offre facilities nelle vicinanze delle Cave di Mogao, sito che è patrimonio dell’unesco, visitato da decine di migliaia di persone. Appena fuori dalla città ci sono delle belle dune di sabbia rossastra alla cui base hanno allestito una macchina fabbrica soldi: TURISTS VIEW POINT. Gite sul cammello, in dune buggy, deltaplano a motore...il tutto con tanto di campo tendato notturno tipo serata berbera CINESE...qui ci perdiamo l’autista che sembra non aver nessuna voglia di tornare indietro a riprenderci...la cosa è buffa perché iniziando a chiedere aiuto in giro, ovviamente non ci capisce nessuno...allora si risfodera la tattica dei SORDOMUTI...foglio A4 con scritta a caratteri cubitali WHO SPEAK ENGLISH? che finalmente ci fa trovare una guida cinese di turisti giapponesi che parla un po’ di inglese e che gentilmente si offre di telefonare al nostro autista implorandolo di tornare a riprenderci...che ridere...
La sera a Dunhuang è movimentata. C’è una via di localini con i tavolini in mezzo alla strada che fa molto Brera cinese, dove si mangiano gustosi spiedini di montone con finalmente del Buon NAN. Si vede che ci stiamo avvicinando alla zona islamica.
Mogao è splendida. Le cave sono visitabili solo con guida e sono tutte chiuse a chiave. VIETATO ENTRARE CON MACCHINE FOTOGRAFICHE E VIDEOCAMERE. PORTARSI LA PILA. Sono uno splendore, noi visitiamo il sito per circa 2 ore con una guida cinese parlante francese con accento mandarino...un bijoux! I Buddha hanno ancora i loro colori originali e all’interno delle cave più grandi mi sembra di stare nella Cappella Sistina dell’Asia. Nel museo cerco invano un libro di buona fattura con foto e descrizioni almeno in inglese, ma non trovo nulla di decente. Che peccato, questo è sicuramente il sito più bello che ho visto in Cina dopo l’Esercito di Terracotta.
La stazione di Dunhuang, appena fuori città, è un Grand Hotel di design moderno, con divani di pelle bianca e marmi bianchi ovunque. Qui incontriamo un tipo pieno di valigie con dentro valigette più piccole piene di cristalli di rocca che ci fa vedere tutta la sua collezione... Il treno notturno ci porterà a Turfan.
Turfan è sicuramente uno dei luoghi più inospitali della terra. A più di 140 metri sotto il livello del mare è una delle depressioni più profonde al mondo. Il clima qui è insostenibile e le temperature che sopportiamo sono sicuramente le più alte di tutto il viaggio. Turfan è famosa per la sua uva dolcissima e per il fatto che i pergolati di viti danno un po’ di sollievo con la loro ombra agli abitanti di questo forno naturale. Qui ci sono ancora i famosi Karez e esistono ancora operai artigiani che li costruiscono a mano scavando sottoterra. I Karez sono dei pozzi di irrigazione e raccolta dell’acqua che vengono scavati e costruiti a mano nel sottosuolo da temerari operai che rischiano di venir sotterrati vivi durante il loro lavoro. E’ un sistema antichissimo che si tramanda di generazione in generazione e che a quanto pare funziona ancora.
La mia camera da letto ha tre vetri per proteggere l’interno dal caldo...dicono che qui in inverno ci siano -30°C per via delle correnti che arrivano dalla Siberia, quindi un’escursione termica di 80 gradi durante un anno. Sarà vero? Impressionante.
Le rovine di Jiaohe sono erose nel deserto. Aiuto, il caldo è talmente insopportabile che non riesco a godermi nulla. Turfan, antica tappa della Via della Seta, Turfan e l’uva del deserto del Taklamakan.
Il furgone ci porta via il giorno dopo, ci vogliono un bel po’ di ore per giungere a Urumqi dove ci attende il nostro volo per Kashgar. Il deserto è un po’ sassoso, un po’ sabbioso, l’aria è rovente e gli scenari lunari. Per fortuna sta volta abbiamo l’aria condizionata. Quando manca il sole invece la temperatura cala drasticamente e il vento è fortissimo. Mi fermo ai bordi della strada a guardare lo sconfinato niente e il vento mi porta via. Spesso incrociamo vasti stabilimenti di sfruttamento dell’energia eolica. ENERGIA PULITA in Cina. Bravi, w lo Xinjiang!
Urumqi è tutto ciò che uno non si aspetta di vedere conoscendo quella che è stata la sua mitica storia. Ne è rimasto solo il nome.
Mi ristoro in un centro commerciale di 12 piani, fuori fa davvero caldo. Finiamo la giornata nell’unico museo degno di nota. In serata siamo in aeroporto e voliamo verso Kashgar, la perla dello Xinjiang.
Finalmente inizia la parte di viaggio che aspettavo di più. Sono in Asia Centrale! Qui mi renderò conto che questa parte di viaggio che credevo essere la più dura si rivelerà essere invece la più agevole.
Kashgar è ora nota alla cronaca per essere focolaio di integralismo islamico, negli ultimi giorni ci sono arrivate notizie di attentati...
Una delle tappe storiche della Via della Seta, Kashgar, nonostante lo sviluppo della Cina, conserva ancora il suo fascino di città senza tempo. La città vecchia è un turbinio di viuzzze sterrate acciottolate attorno alla vecchia moschea dove i bimbi corrono facendo rotolare le vecchie camere d’aria con i bastoncini e le donne chiacchierano sugli usci come una volta. Qualcuno mi invita a bere un tea. Le case sono molto semplici, essenziali e accoglienti. Il colore che domina è il beije. Si sta bene, non fa così caldo come qualcuno mi voleva far credere. A Kashgar si sta bene. Qui giungevano le carovane dei mercanti da tutta l’Asia Centrale e da ogni dove per il Gran Bazar e per il mercato della Domenica.
Il mercato domenicale è un tuffo nel passato, per me sembra incredibile riuscire a far parte di questa scena che si ripete, presumo immutata, da secoli. Le vie di accesso al mercato sono trafficate da carretti trainati da brocchi o da asinelli, furgoni stipati di bestiame, bici, motorette...all’ingresso c’è una sorta di dogana con un po’ di personale in divisa...ovviamente controllano quanto entra, quanto esce e quanto si è venduto. Ci sono Uyguri, Tagiki, Uzbeki, Pakistani, Kazaki, Kirghizi, genti diverse mescolate insieme che trattano, discutono, osservano, chiacchierano, mangiano e bevono tea insieme. Macellerie a cielo aperto, punti di ristoro dal produttore al consumatore direttamente, uomini intenti a impastare ripieni per focacce o a infilzare gustosi spiedini, c’è chi fa il pane e chi vende foraggio. Pecore vive parcheggiate davanti a baracchini con appese carcasse di pecore morte...Briglie fatte con vecchie camere d’aria, file e file di pecore legate insieme, o meglio assemblate insieme come fossero mattoncini lego, altre allineate mentre i pastori le stanno tosando. Manzi che scalpitano sui furgoni e che saltano giù come in un rodeo. Cavalli, cammelli, ciuchini, un gran polverone! Mi lascio trasportare dalla fiumana di gente, mi intrufolo tra i gruppetti che contrattano, osservo come esaminano gli animali, la gente mi sorride, nessuno è schivo o scontroso, tutti si lasciano fotografare e molti si mettono in posa o chiedono lo scatto. Sono tutti islamici. Le donne sorridono e sono timide. Alcune di loro usano infoltirsi le sopraciglia al punto da renderle unite sembrando così tutte piccole fan di Frida Kalo. Ai bordi della strada c’è un ruscelletto, qualcuno ci lava un cocomero, qualcun’altro si lava la testa, un gruppo di bambini ci sgambetta dentro. C’è il piccolo fabbro, avrà non più di dodici anni e già lavora il ferro con incudine e martello. Un nonno risuola le scarpe e accanto c’è un signore che misura la pressione ai passanti con uno sfigmomanometro moderno, più in là, sotto un ombrellone un indovino legge la mano a un gruppo di donne e una nonnetta vende pagnotte profumatissime appena uscite da un tandoor. C’è chi cuce, chi dorme sul carretto e chi passeggia con tre vacche al guinzaglio. Che movimento! Che colori! Non avevo mai visto uno spettacolo di vita così bello e così autentico. La gente sembra ospitale, io passeggio da sola e nessuno mi importuna.
Il Bazar è un gran mercato coperto non turistico con tutto ciò che deve avere un mercato: dal cibo, alle spezie, dalle stoffe alle pentole. Tutte cose utili alla gente. Di souvenir ce ne sono pochi. Anche qui ci sono degli pseudo santoni. Fanno profezie con catini pieni di scorpioni vivi.
Il pomeriggio sono nella piazza della famigerata Moschea. Ci sono le giostrine con i bambini, le famigliole che passeggiano, qualche vecchino barbuto con gerle piene di pane. Mi copro il capo con la mia pashmina e entro. C’è una bimba sulla porta che si fa fotografare dal papà con l’enorme chiave in mano. Ha due occhi neri neri...bella. Dentro ci sono un po’ di fedeli che pregano e che ogni tanto mi sbirciano. Passeggio indisturbata faccio qualche foto. Ma gli integralisti dove sono?
La Cina qui è lontana...a Kashgar hanno anche il loro fuso orario...2 ore indietro rispetto a Pechino! Mi sembra giusto. Qui la maggior parte della gente è Uygura, è diversa dai cinesi. Davvero diversa. Anche se non sanno l’inglese e parlano solo uyguro qui ci si capisce.
Ritorno in Cina solo in una piazza...c’è una statua di Mao enorme e una fila di bandiere rosse...ma la Cina la vedo solo qui.
Iniziamo il tragitto per il confine verso l’Irkeshtam pass. Il Torugart è chiuso per 2 bombe esplose dagli integralisti nell’ultima settimana. Lì dicono che tutti vogliono boicottare le Olimpiadi. Mah...sono perplessa. Partiamo prima dell’alba perché dobbiamo arrivare alla frontiera non oltre le 12.30, la strada è lunga e sterrata. Quando sorge il sole si vedono già i profili innevati della catena dello Tien Shan. E i colori di questi monti sono brillanti al sole. Fa freddino, finalmente siamo in montagna e io mi sento sempre più a mio agio, nonostante il furgone non sia molto comodo. Arriviamo in alto, in frontiera. Ripiombo in Cina. Facce scure. Aspettiamo. Ci impieghiamo due ore e mezza per passare la frontiera. Questi hanno allungato i tempi su ogni cosa, cavilli su cavilli. Cercavano il timbro sui passaporti, quando a Pechino lo hanno posto solo sul visto perché era collettivo e non ci hanno timbrato il passaporto neanche su richiesta come souvenir delle olimpiadi: U can buy the olimpic gifts at the shop on the corner...e adesso ci chiedono il timbro...Strani sti cinesi. Ovviamente qui all’Irkeshtam nessuno di loro parla inglese...e nessuno di loro capisce....nulla! Di nuovo! Controllano tutto. Neanche all’ingresso a Pechino ci hanno controllato così...suvvia, stiamo uscendo! Il nostro furgone non ci può accompagnare al confine kirghiso che sta circa 3 chilometri più in là, oltre questa zona morta...non possiamo neanche andarci a piedi perché dopo un po’ di cammino al primo posto di blocco i kirghisi ci fermano e ci fanno segno che così non possiamo sconfinare. Saliamo su un tir cinese. Il camionista è molto gentile, accetta l’imposizione delle guardie di frontiera e ci carica sul camion. Vedo il confine. Al di là ci attende un nuovo furgone che ci porterà a Sari Tash. Lo scenario montuoso è splendido.
Il passaggio kirghiso è fatto in un attimo. Il vecchio mercedes si inerpica lentamente sullo sterrato. Tra un picco, una vallata e un altipiano, scorgiamo le prime yurte e i pascoli si perdono a vista d’occhio fino alle pendici delle montagne. Nel tardo pomeriggio siamo a Sari Tash. Diciamo che questa giornata di viaggio è stata bella intensa ma il posto dove sono arrivata mi ripaga degnamente. Sono alle pendici del Pamir, in un altipiano a 3800 metri. Una meraviglia. Il villaggio è un paesotto di montagna con il centro con le casette in muratura col tetto in lamiera e qualche carrozza cargo adibita a casetta con tanto di caldaia e canna fumaria annessa. Al municipio spunta un busto argentato di Lenin che luccica come un gioiello...retaggio della dominazione russa... La via principale del paese si perde all’orizzonte e sembra congiungersi alle montagne infondo. C’è una singolare pompa di benzina a lato strada: un cartello con scritto in russo CARBURANTE e una tanica di benzina posata su una sedia. Noi stiamo in periferia...dove sono le yurte e iniziano i pascoli. Questo campo è gestito da una kirghisa e da un bergamasco che sta qui da anni allevando cavalli e portando gli avventurieri in alta montagna. La nostra guida e il nostro autista sono pakistani e staranno con noi fino al confine uzbeko.
La mia yurta! Da dentro osservo il cappuccio che la copre in alto, l’intelaiatura a doppia croce è disegnata in giallo sulla bandiera rossa kirghisa, dicono che in inverno lasci entrare il caldo e protegga dal freddo...in inverno anche qui fa -30°C...Ceniamo con del buon plov e con del pane soffice soffice. La temperatura cala rapidamente. I ragazzi del campo mettono i cappotti ai cavalli e li fanno entrare nella tenda stalla. Nella yurta di fianco alla mia incontro dei ragazzi che stanno andando in Tagikistan e poco dopo arrivano una decina di motociclisti che stanno attraversando tutta l’Asia Centrale in raid. Che emozione dev’essere su queste strade con questi panorami..in moto.
La mattina all’alba nella yurta ci sono 8°C. Ho dormito anche bene, non pensavo. Quando esco c’è ancora la luna gialla in cielo e le montagne tutt’attorno mi lasciano senza fiato. Non c’è niente, solo qualche pascolo e il Pamir bianco e rosato che brilla al primo sole. Durante la notte la temperatura dev’essere andata sotto zero perché i fili d’erba sono ancora ghiacciati. Dopo una colazione a base di pane burro e marmellata fatta in casa, saliamo sul furgone alla volta di Osh. I nostri pakistani chiacchierano sorridenti, la strada è bruttina, il paesaggio bellissimo. Incrociamo almeno 2 tir ribaltati sui tornanti con le merci in strada e giù per la scarpata. Vita dura qui per i camionisti...e non solo per loro. Più a valle dopo due ore e mezza di viaggio sostiamo in un villaggio per una merenda in una piccola locanda. Praticamente è una casa dove 2 robuste signore stanno impastando la sfoglia per fare i tortelli proprio come fa mia madre. Il ripieno ha un profumino invitante e i primi tortelli sono anche esteticamente fantasiosi. Ci portiamo con noi un signore. Anche lui è diretto a Osh. In strada incontriamo spesso greggi di pecore che ci rallentano la marcia, inoltre buchiamo.
In serata ci ristoriamo in una bella guest house.
Osh è una città in mezzo al niente. Pare piuttosto ordinata e in centro ha un colle che sembra una donna incinta sdraiata. Qui ci vengono in pellegrinaggio molte donne e molte coppiette in cerca di bambini...non c’è molto in questa città però il Bazar è carino, molti banchi vendono i tipici cappelli di feltro bianchi e neri con la tesa arrotolata e i ricami in fronte e gli alimentari hanno tavolate intere coperte di frutta secca. Le donne sono sorridenti e gioviali. Sono belle. Alcune scure scure altre biondissime con gli occhi chiari. Tutti vogliono le foto: donne, uomini, bambini. Con l’aiuto della nostra guida pakistana troviamo il mercato dell’oro e dei gioielli. E’ in un posto singolare, un grosso capannone all’aperto, le donne in piccoli gruppi sedute a semicerchio, chi con la valigetta aperta, chi con la borsetta, tutte con una sfilza di gioie tra le mani: le mostrano alle possibili acquirenti, così...in modo naif... non avevo mai visto maneggiare oro e preziosi così...in mezzo alla strada con tanta disinvoltura.
Il giorno dopo ci dirigiamo verso la frontiera uzbeka. Qui le guardie di frontiera ci sembrano alquanto easy. I bagagli praticamente non li guardano, si impegnano molto invece nell’accoglienza. Non appena capiscono che siamo italiani mettono in stereo i loro telefonini con la suoneria di Toto Cutugno...Sono un Italiano...e non appena varchiamo il confine, si mettono a ballare a turno con ognuno di noi, sotto gli sguardi divertiti delle altre persone presenti. Pazzi questi uzbeki. La nostra prima tappa in Uzbekistan è Andijan. Siamo nella valle di Fergana, anche questa tristemente è nota più per essere un focolaio di integralismo islamico che per la produzione di splendide sete, ceramiche piuttosto che per essere culla della letteratura moderna e della poesia dell’Asia Centrale. A noi le cose arrivano spesso magicamente filtrate a dovere...Visitiamo quella che un tempo era una madrasa per l’insegnamento coranico e che ora è un museo dedicato alla letteratura e alla poesia. Qui sono conservati alcuni scritti originali di Yusuf Juma e di altri grandi della letteratura di questo paese. Poi passeggiamo nel Bazar e ci facciamo due chiacchiere con gli intagliatori e gli artigiani di questa città. Anche qui sono tutti molto gentili e sembrano davvero ospitali. Dopo aver visitato un mausoleo dedicato a Tamerlano ci dirigiamo verso la città di Fergana. Il giorno dopo abbiamo 600km da percorrere in varie tappe. Gli uzbeki in auto sono dei folli. Iniziamo una settimana di lunghi tragitti durante i quali incrociamo spesso cortei nuziali. In Uzbekistan devono avere un tasso matrimoniale giornaliero elevatissimo. Tutti i giorni ho incrociato almeno un matrimonio con tanto di strade statali congestionate dal traffico per la guida bizzarra che hanno i partecipanti alle feste. In testa c’è la macchina del fratello della sposa con il cameraman (spesso sono 2 o 3 con cineprese modello RAI). Sono o arrampicati sul tettuccio o dentro il bagagliaio aperto, ovviamente in piedi, in modo da avere ampia visuale. Le altre auto sono sparse su entrambe le corsie di marcia modello gregge errante e guidano a slalom in modo tale che tutti i partecipanti al RALLY siano immortalati. L’auto della sposa è in mezzo e lei non sorride. Di questi singolari cortei ne ho visti almeno una decina e nessuna di loro sorrideva...mai. Ovviamente le auto che incontrano questa folle carovana devono o buttarsi a bordo strada evitando il frontale se arrivano dal lato opposto, o rimanere incolonnate dietro senza possibilità di sorpasso a rischio di tamponamento se arrivano da dietro.
Incrociamo anche una rissa in autostrada con tanto di pestaggio sanguinolento e donne che tirano scappellotti sul coppino dei litiganti... traffico ovviamente bloccato! Il bello è che poi tutto riprende come niente fosse...irascibili questi uzbeki.
A Margilan vado da Yodgorlik. Forse ormai sarà solo una nota fabbrica di seta dove i turisti vanno a fare shopping, ma per me è un passaggio obbligato perché ha in se tutta la storia della lavorazione della seta e dell’allevamento dei bachi. Questa attività è stata da sempre una delle più tradizionali dell’Uzbekistan. Yodgorlik è uno dei più antichi centri di produzione della seta di tutta l’Asia Centrale. Qui tessono ancora a mano o con gli enormi telaioni in legno, certo hanno anche rumorose macchine per la tessitura che mi hanno ricordato i documentari che vedevo da bambina sullo sviluppo industriale in Italia nel dopoguerra, ma il bello sono le lavorazioni a mano e stare all’ombra dei gelsi a guardare.
Decidiamo di passare anche da Rishtan a vedere lo studio del maestro Rustam Usmanov, forse il più grande tra ceramisti tradizionali Uzbeki che ha raccolto nella sua arte tutta la tradizione dei secoli passati. La sua casa è un piccolo museo. Ci sono alcuni pezzi di ceramica blu antichissimi. Questa è cultura che si tramanda di generazione in generazione.
La Valle di Fergana è la culla delle arti dell’Asia Centrale. Già lo era in epoca timuride e da allora a oggi non ha perso il suo fascino.
Per andare a Samarcanda allunghiamo passando da Tashkent e man mano che si scende sentiamo che presto staremo di nuovo al caldo. Tashkent in questo viaggio per me non è degna di nota. Passo il tempo rileggendo la storia di Samarcanda e delle sue meraviglie.
Ben presto lasciamo le montagne e le valli per le pianure. Ci sono moltissime piantagioni di cotone. L’Uzbekistan è uno dei primi produttori al mondo. Arriviamo a Samarcanda alle 10 di sera con una fame indescrivibile e vediamo scorrere via la piazza del Registan illuminata senza neanche il tempo di renderci conto di dove siamo. In una stradina illuminata da qualche lucina ci aprono il portone di una casa padronale. Il chiostro interno è bellissimo e il patio arioso. Saliamo le scale e una tavola imbandita ci aspetta. Cena casalinga! Melanzane Immam Baildi anche qui? Più o meno...una caponatina...i famosi noccioli di albicocca...i tortellini in brodo...l’immancabile plov, i pomodori con le spezie e poi c’è anche del fritto in pastella. FAME!
La mattina siamo al mausoleo di Gur Emir. Io sono a bocca aperta. E’ bellissimo. Le piastrelle blu decorate e i mosaici sono ben conservati. Nonostante Samarcanda abbia subito grossi terremoti i restauratori hanno fatto un ottimo lavoro. All’interno c’è la tomba di Tamerlano in marmo nero e a lato quella di Ulugbek in marmo bianco. Il nipote di Tamerlano gli successe sul trono di Samarcanda e, contravvenendo alla volontà dello zio che voleva essere sepolto a Shakhrisabz, decise di accogliere le sue spoglie in questo mausoleo. Vi sono molti pellegrini che vengono a pregare in questo luogo sacro che è denso di fascino.
A piedi ci dirigiamo verso la piazza del Ragistan, il gioiello di Samarcanda. Quando arrivo lì provo lo stesso stupore della mia prima visita a San Marco a Venezia da bambina. Sono davvero emozionata. Le tre madrase sono magnificenti. Tillya-Kari (del 1646/1660 per 75 metri di altezza), Shir Dor (del 1619/1636 per 51 metri di altezza) che porta sulla facciata le 2 tigri col sole, rare iconografie sacre islamiche (l’islam vieta la rappresentazione zoomorfa) e la Scuola Coranica di Ulugbek (1420) che ospitava fino a 100 studenti. Lo stesso sovrano, noto per la sua passione per l'astronomia, era solito impartire lezione agli studenti che vi risiedevano. La sua passione si riflette nella decorazione della cupola interna dell'edificio di un colore azzurro cielo tempestato di stelle. La struttura, minareti compresi, è rivestita in pannelli in mosaico e maiolica raffiguranti motivi geometrici e calligrafici in caratteri kufici. All'interno si trovano le celle degli studenti che si aprono su due cortili e Darskhna, l'aula in cui venivano impartite le lezioni, anche questa tutta azzurra. Dal minareto di sinistra, dopo una salita a chiocciola al buio su improbabili gradini si gode di un bel panorama sulla piazza e sulla città. La piazza e gli edifici furono oggetto di un restauro accurato nei primi anni ‘90, in occasione del 600° anniversario della nascita di Ulugbek e tutt’ora sono tenuti davvero bene. Qui è pieno di turisti, è un luogo denso di storia, mitico. Da lì proseguiamo per la moschea di Bibi Khanym (1399-1404) che doveva essere la più alta del mondo islamico. Effettivamente il portale è altissimo e lo spazio interno enorme è in grado di accogliere migliaia di pellegrini. La moschea è talmente grande e alta che per fotografarla intera mi ci vuole in grandangolo. All‘interno dell’edificio sono ancora ben evidenti le crepe lasciate dall’ultimo sisma e da fuori la cupola blu troneggia al sole perfettamente restaurata. La leggenda vuole che questa moschea sia stata fatta costruire da Bibi Khanym, la moglie cinese di Tamerlano, per fargli un regalo al ritorno da una sua campagna miliare. L’architetto che la progettò e costruì però si innamorò di lei e poco prima del ritorno di Amir Timur le comunicò che avrebbe interrotto i lavori se lei non si fosse concessa a un bacio. Bibi Khanym volendo assolutamente che il regalo fosse pronto all’arrivo del marito concesse il bacio all’architetto. Quando Tamerlano tornò a casa, si accorse subito del bacio che Bibi Khanym aveva ricevuto sulla guancia e, scoperto che il colpevole era l’architetto, lo fece uccidere e per punire la moglie da allora ordinò che tutte le donne portassero il velo per non indurre in tentazione più nessuno. Fantasiosi questi timuridi...
Poco lontano dalla mosche mi concedo degli spiedini di carne macinata cotti alla brace e dal pergolato mi godo il via vai del bazar che scorre sulla via di sotto.
La prossima meta è l’osservatorio astronomico di Ulugbek che sta sulle colline sopra Afrosiab. Visitiamo i resti del grande astrolabio per l’osservazione della posizione delle stelle.
Poco prima del tramonto arriviamo alla necropoli di Shakh-i-Zinda. Nel XIV e XV secolo vi furono costruiti monumenti funebri che non hanno uguali in tutta l’Asia Centrale facendo della necropoli un luogo stupefacente in una città per se stessa già superlativa.
La sera provo a godermi le ultime luci sul Registan...la vista è surreale...non ho parole.
La mattina dopo siamo sulla via per Shakhrisabz, luogo natale di Tamerlano, dove si ergono ancora le rovine del suo antico palazzo. Questa cittadina è meta di un costante pellegrinaggio da parte delle coppie di sposi che durante il giorno del loro matrimonio fanno tappa fissa qui per fare la passeggiata di rito con foto annesse intorno alla statua del grande Amir Timur. La gente è chiassosa e i cortei sono preceduti da una banda che suona corni e piatti come se dovesse condurre al pascolo una mandria. I maschi davanti alla statua stappano bottiglioni di spumante inondando tutti con la benedizione del vino. Le spose e gli sposi non sorridono manco a morire...la gente dice che è perché il matrimonio va affrontato con serietà...io son perplessa sapendo che per la maggior parte sono unioni combinate. Salgo sulla cima delle rovine. Mi sento un po’ instabile visto il loro stato e vista la moltitudine di persone che si è inerpicata lassù. Dall’alto si vede una bella campagna.
Più ci avviciniamo a Bukhara più la terra diventa arida...chissà a Khiva...stiamo viaggiando senza aria condizionata da quando siamo entrati in Uzbekistan e il caldo è tanto. Per fortuna non essendoci umidità si sopporta molto meglio di quello che credevo. Intanto mi giunge notizia di un terremoto scampato in quel di Tashkent...
Bukhara fondata nel I secolo d.c.: la città dei canali, la città delle vasche, la città delle pestilenze, una delle più importanti città della transoxiana islamica, capoluogo del famoso e temuto khanato snodo del commercio tra i più fiorenti della Via della Seta. A vederla è un museo a cielo aperto, una piccola grande meraviglia. Non sembra vera tanto è bella.
Qui mi accolgono davvero a braccia aperte. L’oste dell’alberghetto in cui dormo è un burlone e ironizza sul fatto che spesso gli islamici uzbeki sono detti integralisti, io gli faccio notare che gli uzbeki sono islamici come gli italiano sono cattolici...all’acqua di rose... A proposito di questa cosa, in una viuzza scorgo un cartellone pubblicitario di un blog che si chiama badman, che scoprirò poi essere di un bravissimo fotografo. La foto del poster è una libera interpretazione dell’ultima cena di Leonardo, dove tutti i partecipanti sono persone di diversa etnia mediorientale/asiatica a parte uno, Giuda, che è un occidentale in camicia e giacca. In Italia scoprirò poi essere il fotografo stesso...Un brillante!
Sono nel centro storico a due passi dai mercati coperti, finalmente mi rilasso nel Lyab-i-Hauz. La piazzetta con la vasca d’acqua è un angolo di paradiso. A est e a ovest ci sono le vecchie madrase, la Nadir Divanbegi khanaqah con le splendide fenici sul portale che in ogni celletta, che un tempo ospitavano gli studenti, ha un negozietto che vende suzani, o tappeti o borsette o stole di seta. Nel giardinetto a est c’è la statua dell’Uzbeko errante in groppa all’asinello e tutt’attorno un ristorantino dietro l’altro all’ombra dei pergolati e dei gelsi secolari (alcuni hanno appese le date...1570...1480...che vecchi!). Molti gatti scorrazzano in giro indisturbati e il profumo degli shashlik (spiedini di carne) a mezzogiorno ti invita a restare a oziare sui soré e a guardare la vita che scorre attorno aspettando che cali il caldo.
Proseguendo verso ovest si apre il Taqi-Sarrafon, il primo dei tre bazar coperti (gli altri sono il Taqi-Telpak Furushon e il Taqi-Zargaron). Sono divisi in settori, c’è quello dei cappellai, quello dei tappetai fino ad arrivare al mercato dei mobili e a quello dei gioielli. Visito due vecchi caravanserragli adibiti a pseudo centri commerciali di anticaglie e artigianato locale...sono bellissimi. Lungo le vie ci sono i canali che congiungono le varie vasche della città.
Per visitare la città partiamo da fuori le mura con il mausoleo Samanidi che ha muri di mattoni di terracotta spessi 2 metri e con il Chasma Ayub, particolare mausoleo costruito sopra ad una fonte di acqua miracolosa... Da lì, dopo aver visitato la Moschea, ci dirigiamo verso l’ark, l’antica cittadella circondata dalle maestose mura di cinta. Fa uno strano effetto vedere lo stradone che circonda la città vecchia col traffico intenso e attraversato il semaforo, saliti sulla rampa d’accesso in mezzo alle maestose torri, piombare 1000 anni indietro proprio dove erano stati rinchiusi Connely e Stoddart. Appena entrati ci sono le celle con le inferiate dell’epoca...la cella degli scorpioni...che cattivi questi Khan...Visitiamo la vecchia moschea, ora un museo, il palazzo dell’Emiro con la sala del trono e le sale dell’udienza. Passeggiamo tra le viuzze piene di turisti e di mercanti. Ci sono ancora i mercanti!
Ci dirigiamo al mercato dell’oro e dei mobili. Ci sono stand uno dietro l’altro, una grande fiera aperta tutto l’anno. Subito dopo, sulla destra ci si apre alla vista la madrasa di Mir-i-Arab, dove studiano tutt’ora 150 studenti, e davanti si erge la moschea da cui si accede all’omonimo minareto di Kalon. A Bukhara ci sono un’infinità di madrase, alcune non ancora ristrutturate che conservano la magia del passato. Sono dei gioielli dell’architettura che testimoniano di quanto questa città fosse centro anche di cultura oltre che del commercio. Camminare per le stradine è magico: c’è la bottega del fabbro, la bottega del tessitore, il falegname, le cucitrici, il ceramista, un nido di cicogna sulla cima del vecchio minareto della madrasa di Abdul Aziz Khan subito fuori dal Taqi Zargaron e davanti alla madrasa più antica dell’Asia Centrale la Madrasa di Ulugbek, il tutto in uno scenario da mille e una notte. Il tramonto sulla città visto dalla sommità del minareto di Kalon è uno spettacolo.
L’ultima meraviglia che mi riserva Bukhara è il Chor Minar. Questo piccolo edificio, unico al mondo, ha quattro minareti con le cupole blu che simboleggiano le 4 figlie dell’emiro che lo fece costruire. Qui il tempo si è dilatato e vivo questo luogo sentendomi davvero parte di esso.
Lascio Bukhara con un po’ di malinconia. Ormai siamo in pieno deserto. Sempre caldissimo e sempre ventoso, il clima è surreale. Giungiamo a Khiva nel pomeriggio. Khiva, uno degli esempi più completi di città tardo-feudale centroasiatica, era un centro commerciale di primaria importanza situato nel cuore dell'antica Corasmia, proprio all'incrocio delle strade che portavano in Mongolia, Russia, Cina e Persia. Seta e schiavi costituivano la ricchezza dei Khan di Khiva passati alla storia per la loro efferatezza. La città è quasi completamente restaurata. Khiva è decisamente affascinante anche perché gli è rimasto un certo che di barbarico che aleggia nell’aria e che fa pensare alle antiche orde che qui scorazzavano in tempi ormai passati. Il mercato degli schiaviè ancora un po’ inquietante e a guardarlo mi sembra di vedere ancora la moltitudine di persone chiusa dietro le sbarre nelle stanzette sotto la porta d’accesso al mercato in attesa di essere vendute. Più in la c’è il mercato all’aperto, per lo più alimentare, dove puoi assaggiare svariati tipi di frutta secca, tra cui i famosi noccioli di albicocca, e il vecchio bazar coperto che è pieno di utensili e oggetti di uso comune, ma anche di giocattoli per bambini e improbabili stand con vestiti da matrimonio decisamente imbarazzanti. La città interna (Itchan Kala) è anch’essa come Bukhara: un museo a cielo aperto. L'antica Madrasa di Amin Khan, che adesso è un albergo di lusso è il primo edificio che si incontra entrando dalla porta principale, al suo lato sinistro c’è una statua dell’inventore dell’algebra e un poster gigante della Via della Seta dove la sottoscritta può ripercorrere le tappe di questa grande traversata che ormai sta volgendo al termine... Più avanti sorge uno dei monumenti più singolari dell’Uzbekistan: l'incompiuto minareto di Kalta decorato con piastrelle color turchese, che appare basso e grasso come se fosse deformato da una lente. Imboccando la prima viuzza a sinistra mi trovo di fronte all'Ark, il palazzo-fortezza dei sanguinari Khan di Khiva, in cui mi ripropongo di tornare in serata per vedere le mura di cinta dall’alto dei suo bastione. All’interno stanno preparando lo spettacolo per la festa per i 2500 di Khiva, ci sono tutti i bambini che fanno le prove delle loro rappresentazioni teatrali e tutti sono socievoli e divertiti. Una signora mi dice sorridendo che il popolo di Khiva è gemello col popolo di Roma perché le due città hanno gli stessi anni di vita. Uscita da qui vado a vedere la Madrasa e il minareto di Islam Khodja che è il più alto della città ed è rivestito da molteplici fasce in maiolica ognuna con motivi differenti. Salita sulla sua sommità, dall’alto mi godo un bel panorama della città e del Mausoleo di Pahlavan Mahmud dove la gente di Khiva ancor oggi chiede, prega e lascia offerte al lottatore-santo-poeta. E’ bellissimo e tutto non mi sembra vero. Proseguo poi per l'affascinante Moschea Juma (o del Venerdì) con le sue centinaia di colonne lignee finemente intagliate, alcune delle quali hanno più di 1000 anni, è un vero capolavoro. Dentro è buio e la luce filtra da un buco al centro del tetto, qui c’è un’acustica fantastica. Qualche centinaio di metri più in là, passeggiando in una viuzza dove nel selciato sono scavate le impronte delle ruote dei carri come se fossero rotaie, arrivo al Palazzo Tosh-Khauli, la splendida dimora estiva del Khan, all’interno c’è l’harem con le stanze delle sue mogli e delle sue concubine impreziosite dalle decorazioni interne più sfarzose di Khiva, un vero trionfo di maioliche turchesi, ghanch (stucchi colorati) e vassà (soffitti con travi a vista dipinti con motivi floreali). Nessuna foto rende l’idea della magnificenza dell’arte che sta dentro questi palazzi.
Anche a Khiva c’è tutto un susseguirsi di negozietti e banchetti con artigianato e mercanzie di ogni genere e vi sono molti posticini dove ci si può sedere tranquilli a bere un tea e a chiacchierare con qualcuno, soprattutto sul volgere del tramonto, quando ormai tutti i turisti se ne sono andati.
Il tramonto dall'alto del bastione Oq Shihbobo, la torre più alta di Khiva che si trova all'interno dell'Ark, è una cosa da non perdere. Avrete davanti ai vostri occhi uno splendido panorama di minareti colorati e cupole blu-azzurre mentre le poderose mura di argilla che cingono la città si illumineranno del colore rosso del sole. Uno spettacolo!
Di sera non c’è più nessuno e girare per Khiva con la pila accesa è come girare in un presepio vero: i principali monumenti sono bene illuminati e creano un'atmosfera fiabesca. Ci si perde nella notte dei tempi...
Non ci credo ma il mio viaggio sta finendo. Tra due giorni sarò sull’aereo per Istanbul...
Da Khiva andiamo verso Urgench costeggiando il confine Turkmeno. Sempre caldo, sempre vento, sempre paesaggi sconfinati che all’orizzonte si perdono in miraggi di laghi cristallini inesistenti. Che posto! L’aeroporto di Urgench è piccino ma carino. Qui alle 21.00 dobbiamo prendere l’aereo per Tashkent. Quando il pullmino mi fa scendere davanti al velivolo, la scritta che leggo sul suo muso “TU” non mi piace moltissimo. Si dice che nella vita c’è sempre una prima volta...si dice. Questa è stata la mia prima volta su un Tupulev delle linee aeree Uzbeke, una prima volta capitata proprio a tre giorni dalla caduta di un Tupulev delle linee aeree Kirghize...mi son detta che essendone appena caduto uno, le probabilità che ne cadesse un altro forse sarebbero state remote. L’aereo è effettivamente vecchiotto. Nell’intercapedine del finestrino è ricoverato un quantitativo indefinito di spazzatura e i sedili sono ribaltabili. I portabagagli come quelli dei treni...Va bé siamo arrivati a Tashkent e il vecchio Tupulev ha fatto il suo buon dovere, nonostante tutti i miei dubbi. Ora qui non mi resta altro che aspettare il volo delle 3 per Istanbul da cui poi ripartirò per Milano dove avrò molto da riflettere prima di ricominciare a vivere la mia solita vita di sempre...
2 commenti:
Ciao sono Niki, ti scrivo qui perchè non penso che leggerai la mia risposta sul mio blog. Vedi negli ultimi tempi il Nepal è cambiato. Anche la gente. Ho amici nepalesi che hanno paura, alcuni sono scappati. I giovani stanno diventando violenti. C'è un clima di impunità e di arroganza che disorienta chi era abituato al vecchio Nepal. Ti sembro esagerata, troppo amara? Sto malissimo, sono venuta perché amavo questo paese, volevo fare qualche cosa. E qualche cosa ho fatto. Ma volevo fare molto di più. E invece mi ritrovo qui spaventata, malata, stanca e depressa a livelli che non avevo mai nemmeno immaginato. E' il periodo in assoluto più buio della mia vita.
Perchè non me ne vado? Investito troppi soldi, non ci possiamo permettere di buttarli. E questo ti dice quanto credevamo nel Nepal. E poi vado a lavorare e mi sento responsabile per la mia gente. Contano su di me. Se hanno problemi, sono malati o sono contenti, vengono a raccontarmi le cose e anche se mi tirano scema, a volte. Io gli volgio bene.
Ciao e scusa lo sfogo
Niki
Ti leggo solo ora...non posso far altro che dirti in bocca al lupo. Ho letto un po'...che inestricabile casino...mi spiace. Quando verrò sù ti cercherò.
Ciao
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